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Intervista ***Versione italiana*** - traduzione: chef Mene

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Ciao Klaus, eccoci qui con le domande per la nostra intervista:

Nel 1965 Rudolf Schenker fonda gli Scorpions. In realtà, tu Klaus, cominci a esibirti col gruppo solo qualche anno dopo diventando da subito il primo cantante, ottenendo la posizione di frontman della band. E’ così determinante essere il creatore di una band o è possibile subentrare in un secondo momento e assumere il ruolo di leader?

Nel 1965 la band non era ancora conosciuta con il nome “Scorpions” e per ben 4 anni Rudolf fu l’unico leader del gruppo. Io a quei tempi avevo una mia band chiamata i “Copernicus” nella quale uno dei chitarristi che suonava con me, era proprio il fratello di Rudolf: Michael Schenker. Lui non era un ragazzo semplice, mi ricordo che dovetti chiedere ai suoi genitori, con l’aiuto del fratello, il permesso di farlo partecipare come componente della mia band. Ottenni il successo in poco tempo, così come in poco tempo la band si sciolse per l’immaturità dei componenti e io partii per il servizio militare. Qualche anno più tardi, alla fine degli anni ’60, Rudolf mi chiese di entrare a far parte del suo gruppo, così venne rinominato “Scorpions”. Questa esigenza nacque dal fatto che Rudolf stesso aveva problemi con uno dei suoi chitarristi, così con il mio ingresso, lui si poté dedicare di più alla musica e non ai testi delle canzoni che anche cantava. In realtà io non subentrai come leader di una band, ma fummo proprio io e Rudolf che demmo vita agli “Scorpions” lavorando insieme e scrivendo i testi delle canzoni, creammo le basi per il nostro successo futuro.

Cosa successe esattamente nel 1971 quando Rudolf e gli altri componenti decisero di auto-finanziarsi per produrre il primo album “Lonesome Crow”? Qual’era in quel momento il tuo ruolo nel gruppo e in quella situazione?

Prima della pubblicazione del nostro album di debutto come “Scorpions”, io avevo problemi di voce, così che il mio manager del tempo decise di non aiutarci nel finanziamento del disco. Fu proprio la tenacia di Rudolf, che da sempre fu il motore trainante della band, a farci unire tutti i nostri sforzi, non che i risparmi, per la creazione di quello che fu un vero successo internazionale, dipeso anche dal fatto che le nostre canzoni furono da subito cantate in inglese e apprezzate dall’underground hard rock tedesco. Per me fu un vero cambiamento, basti pensare che solo pochi anni prima mi esibivo di fronte al massimo di 500 spettatori, poi con l’avvento degli “Scorpions” mi cominciai a esibire di fronte a folle di persone che riempivano persino gli stadi.

Nel 1975, gli Scorpions ottennero un enorme successo anche fuori dai confini Europei grazie agli albums “In Trance” e “Virgin Killer”. Quest’ultimo particolarmente amato dai Giapponesi anche per l’ “originale” copertina: dove nasce l’ispirazione e specialmente qual è l’importanza che date alle vostre copertine che raramente vi hanno come protagonisti?

Ai tempi di “Virgin Killer” la nostra copertina fece un vero e proprio scandalo, che probabilmente ai giorni nostri non ci sarebbe. E’ bello che tu la definisca come “originale” e in realtà lo è per davvero! L’ispirazione e l’importanza che diamo alle nostre copertine è data dal fatto di crearsi una propria identità, che non dipenda dai nostri volti, ma dalla musica che proponiamo. Queste scelte nacquero inoltre dall’esigenza di inserirsi in quello che un tempo furono le regole del business dell’hard rock a livello internazionale.

All’inizio degli anni ’80 avvenne l’ascesa del gruppo, la band si arricchì del nuovo chitarrista Matthias Jabs e parte il vostro primo Tour negli Stati Uniti. Tutto sembra andare bene, quando tu sei costretto ad un lungo stop per alcuni problemi alle tue corde vocali. Come hai reagito a questa spiacevole situazione e cosa ti ha aiutato a superarla?

Sicuramente quello fu uno dei periodi più brutti della mia vita. Ci furono molti pettegolezzi a riguardo, tra i quali un mio possibile addio agli “Scorpions” e a tutto il Mondo della musica in generale. Il mio medico mi consiglio addirittura di cambiare mestiere. Dopo due interventi subiti alle corde vocali, il riposo fu proprio forzato. Principalmente furono due le cose che mi aiutarono a superare questo trauma: la prima era la mia grande amicizia con Rudolf e il supporto morale che avevo da parte di tutta la band, che attendeva una mia pronta guarigione; la seconda fu il mio odio per l’intolleranza, ossia non sopportavo l’idea di abbandonare le scene musicali così precocemente dopo aver appena ottenuto un successo mondiale, contraddistinto come ricordi, da un tour negli Stati Uniti. La band si fermò per attendere il mio ritorno e così fu. Non solo, tornai così in forma che un giornalista scrisse persino in modo ironico, che durante le mie operazioni, ricevetti delle corde vocali in metallo!

Nel 1985 è il momento di “Black Out”, uno degli album più venduti nella storia della musica, dandovi la definitiva consacrazione a livello Mondiale. Quali sono i tuoi ricordi che hai di quel periodo? Quale fu l’elemento determinante per il successo di quel album?

Oltre che essere il momento di “Black Out”, quello fu anche il mio momento. Infatti, fu dopo le operazioni subite alle corde vocali, che insieme alla band, decisi di tornare alla ribalta con un nuovo album. Ottenemmo il successo grazie ai singoli “Dynamite", "Blackout" e "No One Like You", vincendo anche l’ambitissimo disco di platino, per il numero di vendite che raggiungemmo con quell’album. Mi sento ancora in dovere di ringraziare Don Dokken, che mi supportò notevolmente nella parte corale, in modo da non farmi sforzare e proseguire le mie cure. Fu una doppia gioia nel Dicembre dello stesso anno, quando oltre alla fama mondiale, divenni papà di mio figlio Christian Julien.

Un meraviglioso Tour in Russia, poi nel 1991 avete cantato nella Germania Unita esibendovi per la prima volta da soli con la presenza di Mikhail Gorbacëv. Ma già l’anno precedente, suonaste come band di apertura di “The Wall” live in Berlino, definito da Roger Waters: “…una celebrazione di senso di libertà tra la popolazione della Germania dell’Est e dell’Ovest…” Come Band Tedesca, come avete vissuto quei momenti importanti per la storia della musica e del vostro Paese?

La nostra musica e più in generale la musica rock di quei tempi, fecero da colonna sonora ai cambiamenti del finire degli anni ’80. Mi ricordo quando suonammo al Festival della Pace a Mosca e pochi mesi dopo ci fu la caduta del muro di Berlino. Si poteva sentire come i ragazzi di quell’epoca ne avessero abbastanza della “Guerra Fredda”, così come si avvertiva il bisogno delle nuove generazioni di una società nuova, aperta, che avrebbe reso tutto differente. E’ triste vedere quello che succede oggi in Russia, sembra quasi che si stia tornando indietro… Comunque, quando incontrammo Mikhail Gorbacëv nel 1991, 11 giorni prima della fine dell’Unione Sovietica, fu un periodo molto intenso, in quanto questa grossa nazione stava passando attraverso un processo innovativo, al quale non potevo credere. Fummo anche invitati al Cremlino dallo stesso Presidente, probabilmente perché alla sua famiglia piacque la canzone “Wind of Change”, che a suo modo fu la colonna sonora della Perestroika, ma anche perché probabilmente fu un piacere per la popolazione russa che un cantante tedesco, cantò una hit mondiale anche nella loro lingua, così che fu un onore anche per loro poterci incontrare.

Durante il vostro Tour russo nasce l’ispirazione per “Wind of Change”, di sicuro il pezzo più identificativo della vostra produzione, specialmente per il nuovo pubblico. Come è nato il pezzo e qual è il vostro rapporto con esso? E’ troppo riduttivo?

“Wind of Change” è un pezzo tratto dall’album “Crazy World”. Non a caso il titolo del Cd vuole rispecchiare il significato dei testi, che si basano sulla vita politica travagliata di quei tempi, appunto di cambiamento. Sicuramente è il pezzo più identificativo di tutta la nostra produzione, che accompagnò la caduta del muro di Berlino e la fine del Comunismo in Russia. Non deve essere riduttivo, quello era un messaggio per gli anni ’90, oggi siamo nel 2007. Nelle nostre nuove canzoni, stiamo continuando a sensibilizzare le persone su fatti spiacevoli che accadono e che possiamo apprendere dai giornali o dalla televisione ogni giorno. Tutto questo mi spaventa e la mia domanda è: Come andremo a finire?

Negli anni ’90 cominciate con il miglior album di sempre “Face the Heat”, che non fu molto ben apprezzato, fu un fiasco specialmente in Italia. Per te: perché il pubblico italiano non capì l’album allontanandosi così dagli Scorpions?

Con quest’album e con quelli successivi, decidemmo di sperimentare un nuovo genere musicale, dando alle nostre canzoni un sound molto più metallico e questo purtroppo ci fece perdere molti fans, specialmente in Italia. Verso la fine degli anni ’90 i nostri dischi assunsero uno stile di derivazione pop/techno, che definitivamente in Italia ci fecero perdere la nostra buona fetta di pubblico. Fu probabilmente la nostra scelta stilistica ad allontanare così l’audience, che non era forse pronta per quel nuovo tipo di musica che volevamo proporre.

Dopo alcuni tentativi, nel 2000 venite riscoperti dalle nuove generazioni (anche noi compresi…) con “Moment of Glory”. Questo album fu criticato molto dagli addetti ai lavori, ma in realtà, è un buon sposalizio con la musica classica, come altre famose band heavy-metal fecero in passato. Qual è il motivo per un gruppo del vostro genere musicale di confrontarsi con un così differente tipo di musica?

Il progetto di “Moment of Glory” nacque a partire dal 1995, anche se fino al 2000, sfortunatamente, non fu mai realizzato. Sfortunatamente perché ricevemmo molte critiche negative e fummo accusati di aver copiato l’idea della ben più nota band “Metallica”; fui così chiamato in tribunale per diverse ragioni, vincendo in ogni modo le cause che mi riguardavano, anche per la canzone che scrissi in occasione della fiera di Hannover, appunto “Moment of Glory”. Mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato il nostro lavoro, che tra le altre cose ci portò via molto del nostro tempo, a discapito di chi negativamente ci criticò.

2001: Acustica, raccontaci la tua esperienza con il gruppo durante questo avvenimento importante.

Acustica, fu l’ultimo tentativo per risollevare le sorti del gruppo, ma ottenemmo uno scarso successo, scarso rispetto a quelli ottenuti nella nostra storia precedente. Ne ricavammo comunque un discreto lavoro, rivisitammo per l’occasione molti dei nostri brani per renderli più facili da eseguire in chiave acustica. Pubblicammo un Cd con le tracce più caratteristiche del nostro repertorio musicale e un DVD contenente tutta l’esibizione live integrale.

Tra i vostri progetti, noi sappiamo che state già lavorando per un nuovo album (Rudolf Schenker ha dichiarato che 40 nuovi pezzi sono pronti) e l’annunciata partecipazione al “Gods of Metal” a Milano, dopo più di 8 anni lontano dalle scene italiane. Puoi confermarci queste notizie? Vorresti mandare un messaggio ai più audaci fans italiani?

Posso pienamente confermarti tutte le nostre notizie a riguardo. Ci stiamo già esibendo in tour per tutta l’Europa e non solo, con i pezzi del nostro nuovo album “Humanity”, con testi riguardanti il nostro futuro e quello delle prossime generazioni create dai nostri figli e quelle che ancora seguiranno. L’idea nasce proprio dalla voglia di guardarsi intorno per ritrovare la via dell’umanità, l’amore e il rispetto del prossimo, cominciando con qualsiasi persona che incontriamo. L’album è caratterizzato da canzoni che parlano dei lati più oscuri della vita di ognuno, ma anche da canzoni di speranza da sempre diffuse dagli “Scorpions”. Posso anche ufficializzare la nostra presenza al “Gods of Metal” a Milano, dove faremo una piccola partecipazione all’avvenimento, con molta gioia dopo così molti anni lontani dall’Italia. Un messaggio ai fans? Beh, quelli più audaci si rechino a Milano, per quella che sarà una nostra esibizione memorabile nel vostro paese, mentre ringrazio di tutto cuore chi da sempre, e chi come te da poco, ci supportano e credono ancora nella nostra voglia di musica, che non importa dove venga sentita, ma bensì che sia ascoltata e discussa, perché è questo che ci da la speranza di continuare a fare musica.

 

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