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Intervista a Nicola Barghi - a cura di Bugs!

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Ciao Nicola, grazie per il tempo che ci stai dedicando. Allora, prendiamola alla larga. Partiamo dall’inizio. Com’è nata la tua passione per la musica? C’è stato qualcuno in famiglia che ti ha indirizzato inizialmente o hai scoperto tutto da solo? Quali sono stati i tuoi primi ascolti? I Beatles immagino, passione che ti accompagna ancora oggi in maniera decisamente importante, e che altro?

Ciao e grazie a voi di Andregr@und. Partire dall’inizio significa andare a più di 20 anni fa, quando mio padre arrivò a casa con un pianoforte verticale Yamaha. Voleva imparare a suonare le canzoni dei Beatles ma il massimo livello che raggiunse fu di suonare poche note con i soli indici delle mani. Da quel momento mi sono avvicinato alla musica. Avevo otto anni. Negli anni a seguire ebbi un rapporto di amore/odio con quel pianoforte perché, come tutti i bambini, odiavo (e odio tutt’ora perché sono rimasto bambino) le imposizioni e i noiosi esercizi di tecnica che il professore di turno mi impartiva. Iniziai subito a comporre dei piccoli brani al pianoforte che eseguivo nei vari saggi scolastici e in tutto il mio percorso ho avuto la fortuna di essere sostenuto, incoraggiato, assecondato e stimolato dai miei genitori i quali, una volta scoperta casualmente la mia predisposizione, hanno fatto si che seguissi la mia strada senza forzature. I miei primi ascolti, al contrario di come si possa pensare, non furono i Beatles. Quando le mie orecchie si svegliarono mio padre ascoltava musica classica, quindi i grandi compositori classici come Musorgskij, Chopin, Bach, Listz, Tchaikovsky, poi scoprii personalmente i Pink Floyd, i Police, i Genesis e tutti i grandi degli anni ’70, finché arrivò il giorno della folgorazione: ripresi in mano tutta l’opera dei Beatles “scoperta” nella discoteca di casa e la sviscerai fino a comprendere come tutta la musica moderna avesse avuto origine da loro. Il loro genio aveva in pochi anni permesso una sperimentazione innovativa mai raggiunta ne prima ne dopo da nessun altro. Da quel momento venne naturale cibarmi di Fab4.

E poi col passare del tempo quali altri territori hai esplorato? Quali sono attualmente i tuoi punti di riferimento musicali? Qualche altro artista, magari conosciuto o rivalutato più recentemente, che ha contribuito in maniera sostanziale alla tua crescita, sia personale che musicale.

È vero che amo i Beatles e li ritengo la band che mi emoziona di più ascoltare e suonare, ma sono abbastanza onnivoro. Mi capita di fischiettare la melodia dell’ultima hit radiofonica oppure di innamorarmi di un riff di una canzone che di per se non mi piace. Sono soltanto due i limiti che non riesco a superare, il metal e affini e tutti i cantanti stile “amici”. Preferisco piuttosto ascoltare un disco estremamente sperimentale oppure una delle opere di Mahler, fumarmi una canna in un rave party oppure farmi un trip di musica new age, riesco comunque a trovare cose apprezzabili: una linea di basso, un fill di batteria, una linea melodica. Ultimamente sto riscoprendo molti artisti italiani del periodo ‘50/’60/’70 e spesso rimango stupefatto di come eravamo più genuini allora di adesso, più semplici, più puri, più ‘rock’ e meno ‘lenti’. Rimane comunque un punto di riferimento tutta la scena britpop/rock inglese, dai Franz Ferdinand ai Last Shadows Puppets.

Prima hai detto che la tua famiglia è sempre stata molto importante e ti ha sempre sostenuto molto, anche quando hai deciso di avvicinarti alla musica suonata. Hai Studiato qualche strumento o sei un’autodidatta? Qual è la tua formazione musicale?

Si, ho fatto qualche lezione di piano, di chitarra e di canto ma come dicevo prima, non amando gli obblighi preferivo imparare dai miei sbagli, registrandomi e riascoltando tutto quello che suonavo. In questo modo ho imparato a suonare discretamente chitarra, basso, pianoforte, batteria e un po’ il violino e questo mi permette di comporre in piena autonomia tutte le parti musicali delle mie canzoni.

So che hai iniziato a comporre fin da subito, canzoni, musiche e colonne sonore per programmi televisivi e progetti vari. C’è un momento di questo tuo percorso artistico particolarmente importante per te? O qualche ricordo a cui sei particolarmente legato?


“La prima volta” di tutte le esperienza è quella che si ricorda più volentieri perché ci lascia un’emozione e un sapore inedito, di scoperta che non ritroveremo più nelle volte successive. Mi piacciono comunque le idee e i progetti che mi fanno prudere le mani, cioè venire immediatamente voglia di lavorarci su.

Una curiosità: nella tua bio ho letto di un incontro, raccontato in maniera molto vaga, avvenuto qualche anno fa, con un certo Paul McCartney. La cosa mi ha incuriosito parecchio. Ci vuoi raccontare com’è andata?

Si, ho conosciuto Paul McCartney nel 2001 al MediaStore Ricordi di Milano, durante la presentazione della sua raccolta Wingspan. La sera prima mio padre ricevette una telefonata da un amico. Lo informava che l'indomani mattina Paul McCartney sarebbe stato presente di persona allo Store per incontrare i fans. I miei genitori insistettero perché andassi da solo a conoscere “zio” Paul. I treni erano in sciopero ma riuscii ad arrivare poco prima che chiudessero le porte alla Mediastore. Mi feci largo a spallate tra il gruppo di persone in attesa fuori e alla fine mi resi conto di essere entrato per un soffio, dopo di me non fecero passare più nessuno. Aspettammo circa 8 ore, fino alle 17, confinati in un percorso obbligato a serpentina. E finalmente ecco arrivare Paul. Un enorme boato misto a urla isteriche e ragazzine in lacrime proprio come ai concerti dei Beatles. Riuscii a parlarci e a consegnarli una copia del mio primo Cd "I Must Be Wrong" con tanto di dedica. Quando gli strinsi la mano lui mi disse di voltarmi: venni avvolto dai flash. Mesi dopo ricevetti dallo staff dell’MPL (agenzia creata da McCartney che cura tutti i suoi affari) una lettera nella quale esprimevano apprezzamenti al mio disco e mi indicavano alcune strade da seguire. Ho scambiato altre lettere con l’MPL, spedisco loro ogni mio nuovo lavoro e chissà che un giorno non possa accadere qualcosa di ancora più fantastico. E’ stata l’emozione più grande che ho provato da quando faccio il musicista… e anche da prima!

Italian Britpop. Una Parola chiave che racchiude un mondo. Che a sua volta è tutto racchiuso in “Sunny Day”, il tuo ultimo album. Parlaci un po’ di questo tuo ultimo progetto.

Anche se è un modo per descrivere la mia musica, ovvero “testi in italiano uniti a sound inglese”, è anche una presa per i fondelli di chi vuole etichettare tutto per poter comprendere meglio: mai bugia fu più vera! In questo mondo siamo pieni di etichette, sembra di essere al supermercato dove si trovano i prodotti in scatola suddivisi per genere… inizialmente l’idea di questa definizione è nata come risposta all’immancabile domanda riguardo il mio genere musicale o peggio ancora per quei direttori artistici che lodavano il mio lavoro ma poi lo scartavano perché non rientrava in nessun genere preciso. Stufo di dare le solite risposte “non mi piacciono le etichette”… “ma veramente credo che la musica debba essere libera di esprimersi senza compartimenti stagni” mi sono inventato questo nome per dare dei compiti da svolgere ai miei interlocutori e trovarli preparati il mattino seguente.

Come sono nati i pezzi di “Sunny Day” e come nasce la tua musica in generale. Quali sono le differenze tra questo album e gli altri progetti che avevi portato a termine in passato? Come si è evoluta la tua musica nel corso degli anni?

Questo album è il mio primo realizzato con la maggior parte dei testi in lingua italiana (8 su 10), come dicevo prima è l’unione tra la lingua italiana e il sound british. Un’esperienza nuova per me che fino al disco precedente avevo scritto esclusivamente testi in inglese. La fonetica è diversa, la nostra è una lingua più articolata e a volte più dura e meno musicale nella quale risulta difficile esprimere concetti, pensieri e sensazioni in poche parole senza cadere nel banale. L’inglese è molto più scarno e sintetico, non per questo è considerata la lingua più musicale. E’ una sfida ulteriore che però mi sta dando delle soddisfazioni ed è una strada che mi piacerebbe continuare a percorrere. Il disco sta ricevendo delle ottime critiche, sia dai mestieranti sia dal pubblico. Tutta la band ed io siamo rimasti entusiasti che a Londra, dove abbiamo suonato a Maggio e Luglio del 2010 per due tour promozionali dell’album, sia piaciuta la denominazione ”Italian Britpop” e il connubio tra lingua italiana e sound inglese. Per noi è una piccola vittoria, ci da la speranza di poter abbattere le barriere dovute alla lingua. L’evoluzione della mia musica è andata di pari passo con l’evoluzione della mia persona, è una cosa naturale. Anzi ad essere sincero più cresco e più torno all’approccio essenziale e pure del punk… con questo mi sento di dire che i Beatles hanno anticipato anche il punk.

Ci sono condizioni particolari in cui ti ritiri per creare o l’illuminazione ti può venire ovunque e in qualsiasi momento? Di cosa parlano i tuoi pezzi? Prendono il la da storie personali o da altro?

L’idea può venire in qualsiasi momento, facendo tutt’altro. Come dice un mio caro amico “l’illuminazione può venire anche dal ritmo di una goccia che cade dal rubinetto”. Gli argomenti sono diversi e fanno parte della vita di ognuno, storie di vita quotidiana, d’amore, di amicizia, di problemi che incontra chi affronta il mondo artistico. Alcune volte sono autobiografici, altre prendono spunto da una frase sentita in tv o pronunciata nei discorsi con la gente. Sono molto libero in questo, evito i cliché.

Il lavoro in studio come si svolge a grandi linee? Cambiano molto i pezzi in fase di registrazione rispetto alla prima stesura o entri in studio con le idee già chiare circa quello che vuoi?

Il mio è un modo di lavorare molto “open source”, lascio aperte tutte le porte fino alla fine. E’ capitato che mi sia ritrovato a cambiare la struttura di un brano subito dopo averlo considerato finito. Sono abituato a lavorare da solo, dalla composizione fino alla registrazione di conseguenza mi è venuto naturale adottare questo metodo permettendo alle idee di evolversi in continuazione. Questo ha creato qualche problema quando ho coinvolto i musicisti della band che mi accompagna dal vivo. Un problema che si è rivelato positivo! Dal vivo i brani sono molto più rock e sostenuti grazie all’apporto della band e questo ha dato nuova linfa al progetto tanto da farmi prendere in considerazione la possibilità di tornare in studio di registrazione per una nuova versione dell’album. Ma ogni cosa a suo tempo. Le idee che sto elaborando partono dalla delusione avuta dalla collaborazione con la Carosello Records di Milano con la quale avevo concordato la distribuzione digitale di Sunny Day alla quale non è seguita alcuna forma di promozione. Questo mi ha portato e ritirare il disco dall’etichetta e riconsiderare altre strade, tra cui appunto quella della riedizione. Per ora continuo a diffondere a livello underground la mia musica anche attraverso canali come il vostro. Vedremo.

Parliamo un attimo di “Bunga Bunga”, questo pezzo che hai realizzato con Guido Genovesi, che sta ottenendo un grandioso successo. Suo il testo, tua la musica. Com’è nata questa collaborazione?


Si, in soli 10 giorni il videoclip ha ricevuto circa 6.000 visualizzazioni sul canale Youtube di Guido. In questi giorni stiamo per raggiungere quota 10.000. La via della satira e del far ridere sulle cose tristi del nostro paese è sempre un mezzo migliore per attirare l’attenzione della gente, molto più di quanto non lo sia la denuncia sociale di piazza. Se riusciamo a svegliare la gente, a riunirla sotto un qualche pensiero comune è comunque un risultato importante. Anche il numero di download del brano rende l’idea. Tutto è nato a dicembre, quando un amico comune ha portato nel mio studio di registrazione Guido per una sincronizzazione. E’ nata subito una simpatia reciproca che ha portato alla collaborazione artistica. Fu il pomeriggio nel quale iniziò una forte nevicata. Guido mi scrisse un’e mail appena rientrato a casa (dopo due opre nonostante abitiamo a soli 10 minuti di distanza). In allegato trovai la sua poesia inizialmente intitolata “Ei fù”. Mentre leggevo il testo mi venne subito voglia d’imbracciare la chitarra e in poco tempo scrissi l’intera struttura del brano (come dicevo prima riguardo al “prudere le mani”). Il lavoro di arrangiamento e registrazione ci ha impegnato per circa un mese ma alla fine il risultato ha gratificato entrambi. In una sola giornata abbiamo realizzato il videoclip che ha fatto da traino pubblicitario e in breve la fama della canzone si è diffusa anche oltre regione. Grande soddisfazione ci ha dato la richiesta da parte del Trio Medusa di una versione jingle di “Bunga Bunga” e altre due canzoni contenute nel mio album: “Senza di Lei” (diventata per l’occasione “Senza Deejay”) e “Oggi, Forse”. Questi jingle sono attualmente in rotazione nel corso della loro trasmissione radiofonica “Chiamate Roma Triuno Triuno” in onda su Radio DeeJay.

Nonostante il testo non sia scritto da te, è evidente un cambio di tematiche rispetto ai tuoi altri pezzi. La costante rimane sicuramente la leggerezza e una gran dose di ironia. La novità è il tema trattato. Cosa ti ha spinto a buttarti in questo campo minato?

Sicuramente non i soldi, perché ho “sposato” il progetto di Guido. Mi è piaciuto subito il testo che ben riassume i numerosi misfatti di chi attualmente ci governa, senza offendere in maniera volgare nessuno ma sottolineando con tipico umorismo toscano doc la tragicomica situazione del nostro paese. E sottolineo la costruzione poetica molto bella. Personalmente scelgo di essere apolitico per vari motivi, sia perché non esiste attualmente una classe politica valida e degna di governarci, sia perché ritengo che la musica, e di conseguenza chi la pratica, debba stara al di sopra di essa. La musica va oltre, la musica deve unire, non dividere, regna già troppa confusione nelle menti della gente. Con questo però non mi precludo di partecipare a progetti che ritengo artisticamente validi o di tenere concerti in contesti diversi senza per questo dovermi schierare, privilegiando l’importanza della diffusione della musica oltre ogni barriera.

E’ una vita facile quella del cantautore in Italia?

No, non lo è. Principalmente perché questo stato non lo riconosce come un lavoro ma come “sport e tempo libero”. Questa situazione produce pessimismo riguardo al futuro di questa nazione perché la musica è l’espressione del popolo e quando questa viene abbandonata, ritenuta superflua o relegata ad una cerchia di pochi eletti (i ricchi e gli ammanicati) si perde molto del senso di partecipazione alla vita. La musica è condivisione, se la reprimi e gli metti i paletti perdi lo scambio culturale tra persone, intacchi lo sviluppo culturale del popolo compromettendo addirittura una sana evoluzione della specie. Forse sembra esagerata come descrizione ma basta prendere come esempio una qualsiasi altra nazione europea, la maggior parte di esse tiene in gran conto la musica considerandola in tutto e per tutto un’Arte, ne comprende il giusto valore. Gli enti deputati alla gestione di questa parte di economia ne sono l’esempio più evidente. La Siae ha un costo d’iscrizione e di gestione esorbitante e privilegia gli artisti già affermati favorendoli e arricchendoli più del necessario anziché sostenere gli emergenti e tutta quella fascia di sottobosco valido dal quale sfociano le idee migliori. L’equivalente in Svezia, la Stim è completamente gratuita e fornisce un valido sostegno a chi è agli inizi suddividendo spazi e risorse soprattutto tra chi deve ancora affermarsi. Per aprire una casa editrice in Italia ci vogliono 2500 euro (in anticipo) e circa 500 euro all’anno, in Svezia ne servono 30 che ti verranno detratti dai primi guadagni. Se fai presente queste notevoli differenze la risposta che ti senti dare è quella che la Siae cura molte più cose rispetto alla Stim o a qualsiasi altra società estera per il diritto d’autore. In realtà non è vero, la Siae si occupa di altre cose che non sono strettamente legate alla tutela di tutti gli artisti famosi e non, facendo ricadere i costi elevati sulle spalle dei più deboli economicamente e di conseguenza privi di potere. Queste sono le prime cose che mi sono venute in mente appena letta la tua domanda, ma voglio anche dire che c’è un movimento sotterraneo che si sta facendo strada, un underground che sta uscendo fuori, tante piccole realtà che cercano di dare un’alternativa valida alle carenze strutturali e che credo saranno il vero futuro della musica. Esempi come quello del MEI che sotto la guida di Sangiorgi diventa ogni anno di più una forte e concreta realtà, o come la giovane ma efficace associazione KeepOn che ha creato un circuito di interazione diretta tra artisti e operatori dello spettacolo, locali, etichette discografiche, agenzie di booking e promoter. Una fiamma è accesa e arde con tenacia e questo mi fa ancora sperare, almeno più di quanto non fosse qualche anno fa. Vorrei poter vivere del mio lavoro rimanendo nel mio paese ma sono pronto in futuro a giocarmi anche la carta dell’estero se la situazione politica e sociale non dovesse svoltare quanto prima verso nuove strade.

Nel corso degli anni, sia da solo, per la promozione di “Sunny Day”, che con la NoOne Band, la tribute band dei Beatles che hai messo in piedi, hai ottenuto riscontri più che positivi sia qui da noi che all’estero. Hai notato qualche differenza tra il modo in cui viene accolto e vissuto un certo tipo di musica all’estero rispetto all’Italia? Da parte di tutti, pubblico, media, stampa specializzata.

Inizio la risposta con una frase che il mio batterista Michele Amato (e chiedo scusa per il pronome possessivo) disse durante un’intervista: “All’estero la gente paga per ascoltarti”. Ovviamente è sempre più verde l’erba del vicino, suonare a Londra e in Svezia sono state esperienze che in qualche modo ci hanno elevato facendoci sentire dei grandi ma è innegabile che le realtà musicali e le possibilità che ci sono all’estero sono decisamente molto più alte rispetto alle nostre, e per tanti motivi. C’è rispetto ed attenzione per chi suona, c’è più condivisione e unione tra band e ci sono le istituzioni che permettono a queste realtà di esistere e quindi di dare spazio a chi vuole esprimersi. In Italia c’è più valore all’apparire che all’essere, una realtà artificiosa che chiude le menti, una scarsissima voglia di partecipare e di condividere, i valori importanti soffocati dalla legge del dio denaro e del potere che sovrasta ogni altra ambizione. Per quanto riguarda i media e la stampa specializzata potrei dire che c’è nepotismo, favoritismo, mafia ma non è solo questo il male o quantomeno è un male largamente diffuso, un cancro in metastasi. La mafia non intesa come quella che riscuote il pizzo o spaccia droga ma piuttosto come un insano modo di gestire ogni cosa dove viene ignorata la meritocrazia e si privilegia il favoritismo, un atteggiamento (tipico italiano), si creano caste e giri chiusi dove pochi si dividono tanto e tanti devono andare avanti con poco. Ma non voglio trasmettere messaggi pessimistici anzi lo scopo della mia musica è anche quello di ridare gioia di vivere, voglia di fare, momenti di sano divertimento.

Progetti a breve e lungo termine? So che ci sono un sacco di novità in vista ma non so cosa puoi anticiparci ancora di preciso. Qualche indiscrezione? Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato e un grosso in bocca al lupo per tutto.

Posso confermarti che l’album “Sunny Day” non è più in distribuzione digitale con la Carosello Records per i motivi suddetti e che i cambiamenti in via di valutazione sono importanti ma proprio perché ancora da definire non posso anticiparli. Il mio raggio di azione musicale è largo e prevede diversi aspetti professionali pur rimanendo come punto d’arrivo quello di continuare ad essere un musicista e portare a conoscere la mia musica a quante più persone possibile. Spero di potervi aggiornare presto con queste novità importanti alle quali sto lavorando. Ringrazio tutto lo staff di Andregr@und per lo spazio avuto e rispondo al vostro in bocca al lupo con un Viva il lupo! A presto. Stay Tuned. Stay Rock.
 

Nicola Barghi

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