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Dirtyfake

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Nome Gruppo: Dirtyfake
Nato a: Roma
Nel: 1998
Genere: indie/alternative
Componenti: Fabrizio Byron Rampotti, Andrea Salmeri, Valentina Falsfein, Simone Rencricca, Agostino Melillo
Età Media Componenti: 28 anni

Precedenti:
Ottobre 1998 esce in autoproduzione The Ballad Sorrow la prima registrazione della band, un EP di cinque brani
Giugno 1999 Fabiano Micocci lascia la batteria, la band proseguirà in duo acustico
Alla fine del 2001 entra Danilo Staniscia alla batteria, verrà sostituito da Andrea Salmeri alla fine del 2003
Novembre 2004 Primo album
Marzo 2005 la band viene contattata dalla Soundz Production, attiva a Roma come agenzia di booking e produzione di concerti di importanti artisti della scena italiana ed internazionale (Gazzè, Donà, Afterhours, Moltheni, Laika, Ulan Bator) per un mini tour di live.
Giugno 2006 Scratch si classifica terza la concorso indetto da Angeli del Rock e My Chance
Marzo 2007 i Dirtyfake vengono selezionati per la manifestazione Oderzo Inquieta
Dicembre 2007 la band viene selezionata dalla Nagual Records per entrare in una compilation di nuovo indie rock italiano
Maggio 2008 la formazione storica della band si scioglie, escono Daniele Bernardi e Simona D'Onorio, sfuma così il secondo lavoro della band che resterà incompiuto. Subentrano alle chitarre Gianmarco Bellumori (More), Alessandro Russotto mentre al basso suona Marco Guglielmi (Sven Vath, Industria dell'ozio). Christic Love, uno dei brani inseriti nella compilation della Nagual records, diviene video sperimentale realizzato dal maestro Tonino Casula, videoartista e scrittore di saggi sull'arte e la percezione pubblicati da Einaudi e Mondadori, trasforma le atmosfere cupe del brano in un cortronico. Il lavoro viene presentato in anteprima nell'Evento poetico 2008 e danzato da Pi Keohavong (ballerino e coreografo che nel 1999 vinse il Premio Positano Lèonide Massine)
Nel 2009 la band torna in studio di registrazione con una formazione completamente rinnovata che vede al basso Simone Rencricca, e alle chitarre Valentina Falsfein e Agostino Melillo. Collabora attivamente con Fabio "Reeks" Recchia (Nohaybanda trio, Inferno, Red Velvet) per la produzione di "Dreams", il nuovo EP che anticipa il secondo full-leght dei Dirtyfake. Dopo la felice apertura al live dei Kid Congo and the pink monkey birds conoscono l'attrice bielorussa Olga Shuvalova (H2Odio, Thy kingdome come, Night of the Sinner) e decidono di realizzare con lei il videoclip per On the local newspaper, brano contenuto in "The Nagual vol.1" e presentato assieme al disco con un live al Mondadori Multicenter di Roma e su Raidue nella rubrica gli Occhi di Simona. Alla fine del 2009, la band viene inserita dall'americana Quickstar Production in una compilation chiamata: "Indie underground vol.8" in vendita su Amazon.com e su iTunes. Il 2010 si apre con le ottime recensioni di Dreams, e con la produzione di "Tumor-row" album ricco di ospiti come i Madame Lingerie, Raffaella Daino (Pivirama), Serena Pedullà (Madkin), Luca Cartolano (Aphorisma, Joe Lally) in uscita a settembre 2010...

Segni Particolari: Siamo una minaccia minore ma pur sempre una minaccia!


Innanzitutto ciao e grazie per aver accettato il nostro invito. Per cominciare vi chiediamo di parlarci un po' di voi. Raccontateci come è nato il gruppo. Come e dove vi siete incontrati, quando avete deciso di suonare insieme, se avevate alle spalle altre esperienze musicali...

Byron: Il gruppo nasce sopra una panchina, un grosso manufatto di marmo che avrebbe dovuto fare da sfondo ad una sorta di rinascita beat italiana. Naturalmente eravamo adolescenti romantici, non c'è stata alcuna rinascita se escludiamo quella recentemente spolverata dai dossier della vecchia P2. Dopo varie esperienze in band liceali io e il mio amico Daniele Bernardi decidemmo di fare più seriamente.

Il 2008 per voi è stato un anno di grossi cambiamenti. Cosa è successo nella line up del gruppo? Quali sono stati i motivi che hanno portato alcuni membri del gruppo a lasciare dopo dieci anni?

Byron: è stato piuttosto triste. Direi che i motivi sono quelli che hanno diviso band più grandi ed importanti di noi. Le divergenze prima, le differenze dopo. In dieci anni cambi il tuo modo di pensare, quello che non mi sembra intelligente è rinunciare alle amicizie, mettere sullo stesso piano la band e i rapporti umani...ma ormai è andata così.

Tutto questo ha influito in qualche modo sul sound dei Dirtyfake o la natura del progetto è rimasta essenzialmente la stessa?

Byron: i Dirtyfake nascono per inserirsi idealmente in una tradizione musicale, in un filone di indie rock americano. Qualcuno di recente ci ha mosso una piccola critica, quello di "replicare" sonorità rese celebri da band come Sonic Youth, Pavement, Pixies e Dinosaur Jr. E' vero, ma soltanto in parte è una colpa. Dalle recensioni ti fai una idea della percezione che dai. Per qualcuno sei i Cure, altri dicono gli Smiths, ai live uscivano nomi come Joy Division etc. Se qualcuno fosse più attento nelle valutazioni scoprirebbe che una band in grado di toccare così tante sfumature meriterebbe forse un'analisi più approfondita perchè non è così scontata. Il percorso di ricerca di una band comprende molteplici strade, chi vuole fare musica seriamente deve coniugare la sperimentazione con il pop ed è proprio il pop che ti getta nei calderoni...

Andy: abbiamo ingurgitato (e continuiamo a farlo) le sonorità anni 90 pertanto credo sia inevitabile riversare tutto questo nel nostro modo di fare musica ed è altrettanto inevitabile che ci muovano certe critiche. Purtroppo in tutte le recensioni di bands emergenti si richiamano sempre le band più famose, come dire: per essere originali devi essere famoso.

E parlando invece di un lasso di tempo più ampio. Dal 1998 ad oggi come vi trovate cambiati?

Byron: La musica si trasforma in base alle influenze, agli ascolti. Con l'esperienza. Sarebbe strano fare le cose come gli U2 o i Greenday, a noi piacciono quelli come Tom Waits, sempre mercante ma che si sforza un pò di più con la proposta...

Volete farci un breve riassunto delle tappe fondamentali del vostro percorso musicale fino ad oggi?

Byron: La faremo in maniera molto breve: leggete i precedenti in alto!

C'è un momento in particolare della vostra carriera che è stato importante per voi o un ricordo a cui siete particolarmente legati?

Byron: Per me c'è stato un recente unplugged con Pivirama. E' stato perfetto, organizzato con cura, con le luci giuste e la pazienza, accanto ad una band dagli intenti gemelli. Per una volta avrei voluto le telecamere perchè ho sentito pienamente quel feeling con il pubblico che ho sempre cercato in un unplugged, da quando sul divano vedevo scorrere in tv quello dei Nirvana o degli Alice in Chains...

Ci sono dei gruppi che sono stati importanti per la vostra crescita musicale e ai quali vi sentite più vicini come modo di suonare? Avete più o meno gli stessi punti di riferimento oppure avete influenze diverse? E nel caso, come si conciliano?

Byron: io davvero non riesco a capire come "suoniamo", vorrei essere il mio pubblico per lodarmi o disprezzarmi, invece sono solo confuso. Penso che i registi, i pittori, gli scrittori, siano tutti artisti più fortunati. Possono godersi lo spettacolo! Ci sono band che frequentiamo che hanno un percorso musicale simile al nostro come i Viva Santa Claus o i Madame Lingerie. Ognuno però ha una produzione propria differente. Se dovessi riassumere al massimo le nostre influenze direi: Codeine, Nirvana, Fugazi

Andy: Byron ha proprio centrato il punto: la confusione. Io ascolto diversi generi musicali che si fondono e si confondono generandomi un caos interiore. Quello che ne viene fuori è ciò che sento al momento, in sala, una sera…

Come lavorate sui vostri pezzi? Come nasce un'idea e come la sviluppate? Come vi dividete il lavoro?

Byron: prima c'era un iter, io portavo lo scheletro, Daniele lo colmava di sangue, Andrea e Simona lo rivestivano con muscoli e pelle. Il rituale era piuttosto inconscio, la band non era così matura da conoscere le difficoltà dell'arrangiamento, eravamo più punk, ma adesso le cose sono cambiate.

Andy: un’idea può nascere ovunque: in sala prove, la mattina al lavoro, nelle notti insonni o davanti a una birra. È vero però che il grosso viene fatto in sala tutti in cerchio. A volte capita che qualcuno di noi si metta a suonare e gli altri gli vanno dietro e magari non ci siamo neanche salutati.

Com'è il vostro rapporto con il mondo della discografia? Avete un contratto, siete in cerca..? Oppure siete convinti sostenitori dell'autoproduzione, che lascia la più totale libertà d'azione, ma che comporta inevitabilmente anche degli investimenti personali?

Byron: per ora tutto si è rivelato parecchio deludente. Quello che abbiamo visto in dieci anni racconta una realtà di "mafiette", di piccoli truffatori, di figli di papà. L'Italia pare sia intessuta di queste trame. Quello che ti stringe la mano dopo potrebbe stringere un coltello. Il grande salto lo fanno i giovani, manipolabili ed inesperti. Se Baudelaire parlò dell'arte come santa prostituzione dell'anima oggi vedo l'arte come mera forma di prostituzione. In pratica tutto il meccanismo dell'arrivare è incentrato sulla vacuità di una estetica scadente che peggiora di anno in anno. Manca tutta la sofferenza che ogni artista dovrebbe scegliere di affrontare per divenire tale. A questo poi, possiamo aggiungere anche la macabra danza di morte dei grandi dinosauri della musica italiana, coinvolti con gli spettacoli odierni della televisione e del costume locale, sempre più in fondo all'abisso.

Valentina: Essere produttori di se stessi è senza dubbio un impegno non indifferente, che richiede alle spalle disponibilità economiche o quando queste mancano, duri sacrifici. Penso che alla fine tutti cerchino un contratto, un “mecenate” deciso ad investire su quello che fai, ritenendoti meritevole di essere conosciuto da un pubblico più ampio di quello che le tue sole possibilità possono permetterti. Onestamente io credo esistano ancora queste realtà. Però sarebbe bello se fossero più visibili.

In molti sostengono che la discografia come l'abbiamo intesa fino ad oggi, specialmente per quanto riguarda gli artisti emergenti, sia destinata a scomparire a breve. Che il futuro siano le licenze Creative Commons, cioè mettere a disposizione degli utenti gratuitamente le proprie opere autoprodotte, crearsi grazie a questo sistema un ampio bacino di pubblico, e poi cercare di rientrare dei costi attraverso i live, il merchandising oppure cercandosi degli sponsor. Voi come lo vedreste un panorama del genere?

Andy: Personalmente non credo nella scomparsa del modo di fare discografia. Quando si pensava alla scomparsa del vinile, si è ricominciato a produrlo (molti non hanno mai smesso). Penso che le CC siano un buon modo per mettere in circolo la propria musica, ma io sono nato negli anni 70 e amo andare ai concerti e non smanettare su un PC. Come band cerchiamo comunque di tenere il passo.

Valentina: Non penso che il creative commons si possa ritenere un’alternativa alla discografia. Abbiamo familiarità con le nuove proposte che il web offre, tra siti dedicati alla raccolta di musica, radio online e social networks ed il creative commons è sicuramente una soluzione ottima per incentivare la condivisione dei propri brani, sapendo che sarà possibile tutelarli (e con fiducia nel rispetto dei limiti scelti). Ad oggi però credo che i discografici forniscano altro. Non necessariamente qualcosa di migliore. Se una band vuole e ha tempo da dedicarci con internet può davvero colpire in profondità, arrivando a farsi ascoltare anche da chi la strategia di marketing non avrebbe mai raggiunto, tuttavia che una band di piccole dimensione possa auto-sostenersi solo con live e merchandising mi sembra un’impresa piuttosto ardua...

Tocchiamo un altro tasto importantissimo: i live. Il momento dell'esibizione dal vivo penso che per un musicista sia qualcosa di fondamentale, un irrinunciabile momento di crescita e di confronto. Ultimamente si dice che a discapito della crisi del mercato, la musica dal vivo stia vivendo un periodo piuttosto positivo. Questo vale solo per i grandi nomi o riguarda tutti i musicisti in generale? Ci sono gli spazi adeguati e sufficienti per proporre la propria musica dal vivo? Com'è la situazione in Italia basandoti sulla vostra esperienza personale?

Byron: la situazione della musica dal vivo è buona, mi sembra migliore rispetto a qualche anno fa. Ma il lato negativo c'è: i locali ti chiamano ma poi non pagano. Se dovessimo far valere un cachet di base ogni volta che suoniamo in giro, la situazione non sarebbe così rosea. Ai locali dico di selezionare con meticolosità le proposte ed offrire alle band buone aperture se non possono permettersi di pagarle. Almeno tutti ci guadagnano qualcosa...

Valentina: credo che da una parte ci sia un numero piuttosto elevato di band che si propongono per le serate, nell’altro angolo ci sono i locali, con una clientela più o meno fissa, ma che spesso non corrisponde poi ad effettivi ascoltatori. Il risultato di questo incontro è che le band finiscono per non essere altro che “pastori”, che trascinano di volta in volta il proprio pubblico (che in questo modo rimane quasi sempre lo stesso giro di persone). Più o meno come ad una fiera del bestiame. Portami il tuo pubblico (i tuoi amici) a consumare nel mio locale, e io ti faccio suonare. Naturalmente senza retribuzione, perché tanto se mi chiedi un cachet ho altre 20 band disposte a venirci gratis… Ma la colpa non è solo dei locali. Se ci fossero solo band disposte a suonare con un minimo di retribuzione, i gestori non avrebbero molta scelta. Come il barista o la cameriera fanno il loro servizio, così la band intrattiene i clienti. Eppure non è ancora abbastanza, a questo va aggiunta la mancanza di educazione all’ascolto, la voglia di scoprire sonorità nuove e band sconosciute. È un circolo da cui è difficile uscire.

Visto che vi abbiamo conosciuto proprio tramite myspace, non possiamo non chiedervi come giudicate il rapporto tra musica e internet. Grande risorsa o problema con cui fare i conti? Sicuramente per una giovane band il web, e in particolare i social network o le web radio, sono una grandissima opportunità per crearsi visibilità. Cosa ne pensate della questione?

Byron: se ne parla spesso, qualcuno trova ingiusto che una band di ragazzini con una demo fatta in casa rubi spazio e visibilità ad una band matura. Io dico che i conti poi si fanno nella realtà. Tempo fa un noto magazine di moda (style.it*) annotava l'anomalia Dirtyfake come primi in classifica italiana su myspace sopra gli emergenti Teatro degli orrori ma anche sopra a band note come Pearl Jam, Editors, Muse...Come vedete il web conta relativamente, nella realtà ci sarebbe una sproporzione di pubblico tale che non ci farebbero neppure entrare nella stessa stanza! La vera band non dovrebbe occuparsi di queste cose. Essendoci meno reperibilità della nostra produzione noi dirottiamo tutti verso il nostro myspace. Avere una vera enciclopedia mondiale di musica è una fortuna, la conoscenza è sempre degna di plauso, la rete con le sue trappole è una sfida interessante ed una ricchezza che non necessita pericolose limitazioni. Il fatto che stiamo qui a scambiarci informazioni è un vantaggio per entrambi e il merito è di Myspace

Valentina: Come dice Byron non saremmo qui a parlare senza internet e senza ombra di dubbio è una risorsa, specialmente per le giovani band. Diventa un problema se lo si vede come un luogo senza regole, dove la condivisione prende il nome di furto. Non metto in dubbio che il download selvaggio metta in crisi gli artisti e le società di collezione dei compensi che si occupano di loro, ma ritengo sia un problema legato al pubblico e non direttamente ad internet, che è solo un mezzo. Poi le soluzioni si possono trovare, i Radiohead con la distribuzione digitale di “In Rainbows” e le altre band prima di loro fanno scuola. Esistono alternative. Per quanto ci riguarda è una fetta piuttosto importante delle nostre attività come band, affiancata al lavoro in sala prove e in studio di registrazione e ai live.

Internet in un certo senso forse oggi sopperisce in parte anche quello che in teoria dovrebbe essere il ruolo di televisione, radio e carta stampata, che devono parlare sì dei grandi artisti affermati, sarebbe un utopia immaginare la situazione diversamente, però forse potrebbero cercare ogni tanto di far conoscere e lanciare anche qualche realtà un po' diversa. Cosa ne pensate dei media tradizionali? Qual è il vostro rapporto con loro?

Byron: da quando si è capito che l'industria più potente non era quella militare bensì quella culturale, il controllo è stato esercitato sui territori dello spirito e non su quelli fisici. La nascita di una cultura di massa opera nelle profondità della coscienza collettiva, muta radicalmente il tuo modo di scrutare il mondo. Rinomina le cose, sposta la morale di qualche grado. Tuttavia si subisce il fascino generato da questi sogni, la lotta dell'uomo non è più contro epici mostri ma all'interno della sua stessa mente, le sirene sono jingle pubblicitari, i tiranni ti esortano ad andare avanti senza voltarti, per non tramutarti in una statua di sale. L'artista che per raccontarlo alla McLuhan è: "una persona particolarmente sensibile alle rivendicazioni e ai pericoli di nuovi ambienti che si pongono di fronte alla sensibilità dell'uomo" deve muoversi in contraddizione con se stesso in questo spazio ostile ma affascinante, che è sempre in attesa di comprarlo e prosciugarlo. I media della tradizione non sembrano forse una tentazione diabolica? Non c'è qualcosa di estremamente simbolico nei malesseri delle grandi rockstar che si suicidano dopo il compromesso, dopo aver firmato un patto con la cultura di massa?

In ogni caso fare musica di un certo tipo al giorno d'oggi magari può essere difficile ma non impossibile se c'è la passione e la voglia di fare. E soprattutto a dispetto di un sistema che molto spesso non aiuta e non valorizza la creatività e la bravura, devo dire che al momento abbiamo una scena underground in gran fermento: si stanno affacciando alla ribalta tantissimi gruppi con un gran potenziale. Questo è un segnale positivo. Vuol dire che i musicisti comunque non si lasciano scoraggiare da questa situazione. Vuol dire che c'è tanta gente che fa musica esclusivamente per il piacere di fare musica, di comunicare qualcosa agli altri. E queste secondo me è una grandissima cosa. No?

Byron: se devo essere sincero dall'underground mi aspetto di più. Vorrei rompesse le regole, i canoni che ha già accettato per essere dove sta. L'underground può divenire una moda e quando prende quella via cessano di esistere le motivazioni che lo rendono tale. Prendiamo l'esempio dell'indie rock. Cosa è sopravvissuto dell'indie? I suoi concetti di non vincolarsi ai generi, la sua libertà creativa, il suo "fallo da te"? No, se parliamo di indie oggi intendiamo l'estetica tipicamente adolescenziale basata sul taglio dei capelli, sui vestiti. Il fatto che non riesca ad emergere una nuova controcultura significa che la società è all'impasse, significa che i ragazzi sono bloccati ed ignoranti, incapaci di giungere ad un superamento. Una controcultura nel tempo cambia le mode, fornisce nuove direzioni...

Progetti a breve termine?

Arrivare a settembre, fare uscire l'album e portarlo in giro per l'Italia. Abbiamo bisogno di conoscere e far conoscere...

Grazie di tutto e un grosso in bocca al lupo per la vostra carriera.

Grazie a voi, finalmente delle domande ricche di spessore...

Per info: www.myspace.com/dirtyclub

 

 

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