Van De Sfroos: la mia Rivoluzione Emotiva

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Sanremo, Yanez e tutto il resto...

Milano, 23 marzo 2011. Una bella giornata di sole si staglia sopra le nostre teste, un'anticipazione dell'estate ormai in arrivo, che coglie un po' tutti di sorpresa. Ma nonostante la giornata più che primevarile dovrebbe invogliare la gente a farsi una passeggiata in centro per gustarsi il primo gelato della stagione, è veramente gremita la "La Feltrinelli Libri e Musica" di piazza Piemonte, dove sta per cominciare lo showcase di presentazione del nuovo album di Davide Van de Sfroos, "Yanez". Non è la prima volta che prendo parte a serate del genere, ma mai come questa volta c'è un clima di attesa e di fermento. I fan della prima ora arrivano con largo anticipo e si incontrano tra gli scaffali pieni di musica, fuori dal negozio, nei bagni; si salutano calorosamente, commentano con stupore ed entusiasmo l'ultima fatica del loro artista preferito, un cd che ha spiazzato un po' tutti, e si danno appuntamento a questa o quella data del tour. Non che le altre volte ci fosse poca gente o poco entusiasmo. Tutt'altro. Davide Van De Sfroos è ormai da anni un'istituzione qui dalle nostre parti. Basti pensare che il suo penultimo cd, "Pica!", senza alcun passaggio radiofonico o televisivo e senza nessun tipo di promozione, è riuscito ad arrivare al quarto posto della classifica Fimi dei dischi più venduti nella prima settimana d'uscita. Un dato veramente sbalorditivo. Oppure basta pensare alle migliaia di persone che ogni volta affollano le piazze in occasione dei suoi concerti. Per non parlare al sold out registrato al forum d'Assago qualche anno fa sempre in occasione del "Pica tour". Una schiera di fan e di estimatori numerosissima e fedelissima, che Van De Sfroos ha saputo crearsi negli anni principalmente grazie al passaparola della gente, alla sua incessante attività live e ovviamente grazie alla buona musica.
E poi qualche mese fa la sorpresa che nessuno si aspettava. La partecipazione al Festival di Sanremo, in quel teatro, l'Ariston, di cui più volte aveva già calcato le assi del palcoscenico in occasione di varie edizioni del Premio Tenco e di altre manifestazioni. Ed è sempre stato un successo. Un cantautore amato dalla critica e dagli addetti ai lavori e osannato dai suoi fan. Anche stavolta è andata bene. Un marziano sul palco del festival, un personaggio sicuramente insolito e bizzarro per la grande platea nazional popolare di RaiUno, che ha saputo però conquistare anche grazie alla sua semplicità e all'immediatezza e alla freschezza del suo pezzo. Il risultato dell'Ariston è andato ben oltre ogni più rosea aspettativa. La quarta posizione in classifica generale (terzo al televoto), dimostra che gli italiani hanno gradito e apprezzato la sua proposta musicale, nonostante gli scettici che storcevano il naso. Il giusto riconoscimento dopo quindici anni di intensa e straordinaria carriera.
Si è parlato di Sanremo durante la presentazione del disco, ma non solo. Si è ovviamente parlato in maniera approfondita dell'album, e si è partiti da questo per raccontare aneddoti di vita vissuta, più o meno recenti e di progetti futuri. Una bella chiaccherata schietta e divertente, come in una serata con gli amici davanti a una birra, moderata dal giornalista de "Il Giornale" Paolo Giordano. Più che un'intervista un racconto di come è nato e di come si è sviluppato il disco. Uno strumento importante per comprendere al meglio le quindici tracce che compongono "Yanez" per chi già da tempo ascolta la musica di Van de Sfroos, e un occasione in più, per chi fino a questo momento non ha avuto modo di conoscerlo, di inquadrare il personaggio e di entrare nel suo mondo.


Davide, com'è nata la cosa di Sanremo? Il tuo pezzo ha ottenuto parecchi consensi, così come il tuo disco appena uscito. Te lo aspettavi?

Posso dirti che Sanremo è un salto strano. All'inizio ti crea un minimo di preoccupazione, specialmente nel momento in cui stai lavorando ad uno dei dischi più complicati di tutta la tua vita. Sembrerà strano ma nel momento in cui mi si sono presentate alla porta due persone (Gianni Morandi e Gianmarco Mazzi, direttore artistico del Festival, ndr) con la "S" fiammeggiante di Sanremo in mano, la prima cosa a cui ho pensato è stata come trovare la maniera più educata possibile per rifiutare l'invito. Con tutte le cose che avevo per la testa in quel momento figurati se lì per lì avevo voglia di andare a cacciarmi in un'avventura così grossa come Sanremo!

E poi cos'è successo? Come ti hanno convinto?

Beh, devo dire che è veramente una cosa difficile dire di no a Morandi. Lui è arrivato lì e per prima cosa mi ha elencato tutti i motivi per cui non avrei dovuto partecipare al Festival! Poi mi ha spiegato un paio di cose e infine ha ascoltato "Yanez", il pezzo che ho portato a Sanremo, suonato solo chitarra acustica e voce. Eravamo in macchina solo io e lui, nessun altro. E il bello è che continuava a dire "Davide, se non te la senti, puoi dirmi tranquillamente di no, senza nessun problema". E poi mi ha detto "Davide, tu hai già un tuo seguito e non si sa come i tuoi fan possano prendere una tua eventuale partecipazione al Festival, perchè magari è tutta gente che normalmente non guarderebbe Sanremo. E poi magari potrebbe uscir fuori un'immagine di te diversa da quella che tu vorresti far arrivare al pubblico... E' chiaro che forse quest'anno, l'anno dei 150 anni d'Italia, serve più il tuo nome a Sanremo di quanto Sanremo possa servire a te..." Insomma, ti obbliga talmente tanto a dire di no che poi per non essere banale alla fine sei costretto a dire di sì!
Non so cosa sia successo realmente ma sta di fatto che mi sono trovato ad accettare l'invito ponendo solo una condizione: quella di poter far uscire il disco non in concomitanza con la settimana del Festival, perchè non avrei fatto in tempo a finirlo come volevo io. Morandi ha accettato la mia condizione senza nessun problema e così mi sono ritrovato sul palco dell'Ariston.

Devo dire che nei mesi prima del Festival mi è capitato più volte di parlare con Morandi di Sanremo, lui mi raccontava un po' del cast, di come procedevano tutte le varie trattative, mi diceva i motivi per cui era contento di come stavano andando le cose, e immancabilmente chiudeva il discorso con questa frase: "Però Van De Sfroos c'è, ce l'ho fatta!" e questo ti fa capire quanto lui ci tenesse alla tua presenza sul palco dell'Ariston.

Sì, assolutamente. Però spieghiamo bene prima che si possa fraintendere. Per un cantante non è una sciagura essere invitato al Festival: "oddio che schifo devo andare a Sanremo!". No, tutt'altro, è una grandissima opportunità. E' solo che in quel momento i problemi erano tanti. Si parlava di andare lì, ed entrare in questo contenitore importantissimo, dopo oltre 10 anni di carriera, e cercare di portare lì me stesso intatto, passando attraverso determinate cose. E' stata anche la presenza stessa di Morandi ad essere decisiva. Probabilmente con altri gestori del Festival non sarebbe stato lo stesso, non avrei avuto la stessa libertà che mi ha lasciato lui, come per esempio quella di portare la mia band, o di portare proprio quel brano... Tra l'altro io gli avevo fatto ascoltare anche altri pezzi del disco, magari metà in italiano, e loro invece assolutamente volevano un pezzo totalmente in dialetto, perchè quella doveva essere la canzone che avrebbe sdoganato definitivamente un dialetto di questo tipo su quel palco, senza sottotitoli, e che ovviamente non fosse la canzone napoletana, che già da tempo era stata sdoganata.
Inizialmente nella tua testa serpeggiano numerosi motivi che ti spingerebbero a rifiutare l'offerta. Poi provi il pezzo e tutto sommato ti accorgi che è carino, poi pensi che su quel palco ci sei già stato diverse volte, in occasione del premio Tenco, e che la musica non finisce in quel teatro, ma c'è un'enorme risonanza in tutta Italia, e ti chiedi 'e se in giro per l'Italia ci fosse gente a cui interessa questo tipo di musica?' Allora un certo punto ti dici: Perchè no?! Non ci vado per uccidere il mostro, ci vado più che altro per farmi un giro su 'sto drago, e poi se ne esce qualcosa di buono ben venga! E visto che tra l'altro in questi anni di carriera non mi hai mai regalato niente nessuno, finalmente è arrivata una persona e mi vuole dare questi quattro minuti di vetrina ogni sera di fronte a milioni di persone, perchè rifiutare? Poi proprio quest'anno che anche il presentatore è un cantante, che ci sono in gara cantautori come Vecchioni, Battiato, La Crus, amici come Max Pezzali... Alla fine si tratta pur sempre di cantare una canzone... Quante ne ho cantate in condizioni ben più difficili, su palchi impossibili, con impianti semispenti o decrepiti, col caldo, col freddo o davanti ad un pubblico composto da quattro persone.

Visto che siamo in argomento, adesso che sei nel momento di maggior visibilità della tua carriera, perchè non ci racconti di una figuraccia. Di quel concerto in cui ti si è spento tutto, o di quella volta che hai cantato davanti a due persone... Insomma, gli imprevisti della gavetta.

Mah, di episodi del genere ce ne sono veramente un'infinità. Però ricorderò sempre di una volta che dovevamo andare a suonare in un paesino vicino ad Orzinuovi, in provincia di Brescia. Suonavo ancora coi De Sfroos, e abbiamo raggiunto il locale, che si chiamava "La Dolce Vita", guidando attraverso una nebbia fittissima. Mi ricordo una particolarità di quel locale: aveva una cinquecento incementata nel muro, spuntava solo il muso della macchina. Dunque, era un mercoledì di coppa e c'era questa nebbia tale che a momenti non si vedeva niente nemmeno dentro il locale! Eravamo lì prima che mangiavamo della serata, e mentre mangiavamo pian piano si avvicinavano le nove e mezza, che era l'orario in cui doveva cominciare il concerto, e c'era solo un tavolo con sei ragazzi che scalpitavano. E gli altri si chiedevano "Adesso cosa facciamo?". Io ho detto siamo venuti fin quì, abbiamo mangiato bene, è un po' che non facciamo le prove, questi ragazzi sono venuti quì apposta per sentirci suonare, facciamo finta che sia una prova e buttiamo fuori la stessa energia che butteremmo fuori se ci trovassimo di fronte a un pubblico di mille persone. E alla fine rimarrà una serata da ricordare. E così è stato.
Un'altra volta siamo andati molto carichi fino a Madrid. Cavoli si trattava della prima volta a Madrid, io ero molto fiducioso perchè pensavo che agli spagnoli questo tipo di musica sarebbe potuta piacere, ci avevano invitato in un college di studenti, in un teatro molto carino, e quando siamo usciti ci siamo trovati davanti una decina di persone sedute che ci fissavano, e che facevano sembrare il teatro ancora più maledettamente vuoto. Abbiamo suonato, abbiamo fatto il nostro spettacolo e poi abbiamo scoperto l'arcano. All'ultima canzone è arrivata una schiera di persone festanti, che continuavano a chiedere "Ancora, ancora!", e poi solo dopo ci hanno detto che quella sera c'era la partita, Real Madrid - Barcellona...

Quindi adesso che partirà il tour avrai sincronizzato le date col calendario del campionato di calcio...


Sì, ma facendo in modo di modo di suonare proprio la sera della partita nella città di appartenenza delle due squadre in modo da vedere chi vince, se io o il pallone! No, scherzo... Però guarda che possono venire fuori della bellissime serate anche laddove ci sono pochissimi spettatori. Per esempio mi ricordo una data a Bruxelles, bellissimo locale, con 32 paganti che avevano fatto un'isola anche per riscaldarsi a vicenda... E due di loro, che si erano conosciuti proprio in quell'occasione, tempo dopo mi hanno scritto dicendomi che si erano sposati e che durante il matrimonio avevano ballato, come da tradizione da quelle parti, proprio sulle note di "Aquaduulza".
Comunque, anedottica a parte, non mi ha mai spaventato una piazza vuota. Certo, se dovesse essere sempre così uno capisce di essere avviato verso il tramonto, però non è quello il peggio. E' più brutto quando la piazza è gremita, e tu non senti niente dalle spie, e l'impianto non funziona e fischia tutto. Quello è molto peggio!

Comunque, avendo incontrato per lavoro centinaia di artisti, dal più piccolo al più grande, ti posso assicurare che la cosa che fa la differenza, il musicista che fa strada, è quello che suona con lo stesso impegno e la stessa passione sia davanti a venti persone, che a duecentomila. E questo è qualcosa che o ce l'hai o non ce l'hai, non è che ti viene o te lo insegnano.

Io penso che, esclusi i tuoi musicisti, anche mentre stai provando, dal momento in cui arriva un'entità organica che è lì apposta per ascoltare la tua musica, tu ti senti guardato, osservato, e automaticamente scatta questo meccanismo per cui dici 'non sto più provando ma sto cantando per quelle una, dieci o diecimila persone'. E di conseguenza dai il meglio di te.

Allora Davide, veniamo al motivo per cui siamo quì stasera, questo disco, Yanez, che hai giustamente preteso, come ci spiegavi prima, che uscisse coi tempi che erano necessari affinchè venisse come lo avevi in mente. E' un disco a mio modo di vedere bellissimo, che sicuramente a dicembre metterò nell'elenco dei dischi più belli usciti durante l'anno. Credo che sia ancora un bel passo avanti rispetto a "Pica!", il tuo disco precedente. In questo disco ritroviamo storie che per la prima volta sono storie molto tue, molto personali, sono nate di fianco a te, in cui però un po' tutti possiamo riconoscerci e possiamo ritrovarci, e che possono accadere indistintamente in un paesino in Lucania, in provincia di Ragusa o vicino a Monfalcone. E questo al momento ti rende il cantautore più italiano che c'è. Quello che veramente racconta l'Italia. E si tratta sicuramente di un passo in avanti enorme per un'artista che per anni è stato etichettato come quello del dialetto, come quello della lega, come quello che rappresentava solo uno spicchio di ascoltatori. Secondo me questo è un disco che tutti coloro che ascoltano la musica italiana troveranno sicuramente bello.

Il discorso di mettere nei dischi storie considerate minori finora tralasciate, è un discorso che abbiamo fatto fino a "Pica!", che se vogliamo rappresenta il lato estremo del raccontare storie di altri. Io ho cominciato la mia produzione parlando di personaggi immaginari come la zia Luisa, per poi arrivare allo zio pilota, ai personaggi della balera, ai contrabbandieri, agli ex contrabbandieri, ai malviventi... però erano pur sempre fantomatici individui che ne potevano rappresentare mille altri. Con "Pica!" io pensavo di aver raggiunto il livello più estremo del cantare gli altri. Perchè comunque mi trovavo a fare anche i conti con i diretti interessati. C'erano i figli e i nipoti del costruttore di motoscafi, il Cimino in carne ed ossa che ascoltava la canzone, così come L'Alain Delon de Lenn, o i minatori di Frontale che mi avevano portato giù in galleria e ai quali ho fatto ascoltare la canzone, e loro erano lì di fronte a me, col casco in mano, anche un po' commossi... Io per quel disco non ho fatto solo il cantautore, o lo storyteller: ho fatto prima di tutto il viaggiatore dentro le persone. In quel momento ero confessore, uomo medicina, ero accattone di storie, ero vampiro, ero sia vittima che carnefice delle emozioni stesse. E quando è uscito "Pica!" io avevo dichiarato di aver grattato veramente tutti i fondi possibili, e mi chiedevo il prossimo disco come sarà? Come andrò più in là? E me lo sono chiesto per parecchio tempo, finchè un giorno, dopo che mi sono successe parecchie cose tra cui "Pica!", il quarto posto in classifica, il sold out al forum, la nascita di mia figlia, la scomparsa di mio padre, ho finalmente trovato il tempo di fermarmi e guardarmi dentro. Fino a quel momento io mi ero trovato a rivestire il ruolo del viaggiatore che non essendo mai fermo non riesce a capire pienamente quello che gli sta succedendo intorno, non riesce a ridere più di tanto, non riesce a piangere più di tanto. Come una scimmia in un frutteto che comincia a raccogliere un sacco di frutti, immagazzina, immagazzina ma non trova mai nemmeno il tempo di assaggiarne uno. Poi a un certo punto trova il tempo di fermarsi un attimo, e di assaporare qualcosa. La mia vita era uguale. Tu che viaggi, autogrill, autostrade, benzinai conosciuti per nome, strada nera, strada bagnata, chilometri, aria condizionata, sali sul palco, prova, hotel, mura di hotel, testa di hotel, riparti, domani, intervista, parla della canzone... Poi finalmente torni a casa, scendi con la chitarra dalla macchina e ti incontra tuo cugino che vuole un autografo o tua zia che ti chiede una foto insieme perchè i parenti dall'altra parte del lago non ci credono che è tua zia. E va a finire che si parla sempre e solo di una cosa... Poi finalmente ti chiudi in casa e solo in quel momento riesci a capire che c'è anche il resto del mondo.

Quindi qual è stato l'elemento scatenante che ha dato il via a tutto?

E’ stata una canzone, che quando l’ho scritta mi ha devastato, anche in senso positivo, perchè avevo bisogno di essere squarciato in due per far uscire tutto quello che c'era dentro, piangere, ridere... e questa canzone era "Dona Lüseerta". In qual momento ho capito che non avrei più potuto tirarmi indietro. Qualsiasi disco che avrei potuto fare sugli indiani d'America o sui produttori di canna da zucchero non avrebbe avuto senso, sarebbe stata una menzogna. Io sarei stato credibile con me stesso solo nel momento in cui avessi trovato il coraggio di superare la linea del non ritorno. E dopo aver scritto quella canzone, l'ho riascoltata e sono letteralmente crollato. In quel momento ho capito che non avrei potuto continuare a raccontare alla gente di altri. Avrei dovuto mettere per la prima volta me stesso nelle canzoni, e tutte le cose che mi hanno emozionalmente devastato, distrutto e rigenerato, l'unica arma efficace che avevo a mia disposizione in quel momento era la mia emotività, prima ancora della musica o del personaggio che balla e che canta. La mia rivoluzione consisteva nel far capire me stesso alla gente. Una rivoluzione contro un mondo che ti stringe e che ti soffoca, che ci spaventa ancora oggi come nel medio evo.

Quindi cambiano i tempi, cambiano le situazioni, ma lo scenario rimane sempre immutato?

Io sono stato studente alle medie, e trovavano i politici assassinati dentro i bagagliai della macchine, sono stato studente del liceo, e qualcuno osannava Craxi, mentre qualcun'altro gli lanciava dietro le monetine. E oggi guardo fuori dalla finestra e non vedo un mondo poi così migliorato. Però vedo anche un sacco di persone, basta guardare in quanti siamo qui stasera, che in nome di una rivoluzione emotiva possono, se non altro nel loro quotidiano, dove hanno potere, fare la differenza. E queste persone le trovi ovunque! Ai concerti ma non solo: negli ospedali per esempio, ho avuto modo di incontrarle in occasione della nascita di mia figlia, o quando mia madre è stata curata o quando mio padre è morto; c'erano delle persone che facevano delle loro giornate una rivoluzione contro quella malaonda che tende a schiacciare tutto. Così nelle mie canzoni non metterò mai lo slogan politico, o il pomodoro lanciato contro un tale personaggio per ricevere un'ovazione. Io in ogni mia canzone metto un germe di luce per cercare di trasmettere la mia emozione: mi è venuta la pelle d'oca, oppure mi sono girate le palle e quella cosa lì non la faccio. Perchè sono un'entità emotiva. Il mio incantesimo è solo questo, non ho altro...

Quindi "Dona Lüseerta" è stato il punto di partenza da cui è partito tutto. Parlaci un po' di questo pezzo.

Dopo il famoso episodio della lucertola mangiata, una sorta di rito di iniziazione, un sogno, avvenuto una notte di molti anni fa, questo animale per me è diventato qualcosa di importante, una specie di figura totem, che poi mi ha accompagnato anche in tante altre cose. Non sto adesso a raccontare tutte le storie che riguardano le lucertole perchè potrei passare o per una persona mentalmente instabile, o per uno che prova gusto a raccontare puttanate per circondarsi di un alone sciamanico o qualcosa del genere. Però avendole io viste e vissute mi sono permesso di riconoscere un'entità fantomatica come Donna Lucertola laddove la difficoltà degli eventi o l'impossibilità di cambiare qualcosa che è più grande di noi molte volte ci possono anche far soffrire o schiacciare, proprio nei punti dove fa più male. Però è sufficiente rialzare la testa e aggrapparsi al proprio totem per arrivare con una svergognata sincerità a capire che, come non basta un campanile per fare un buco sulla testa del sole, altrettanto non è sufficiente un pezzetto di scotch sul crocefisso appoggiato sul comodino a far vacillare la tua fede o la tua preghiera. Così come non basta un pezzo di filo d ferro arrugginito a fermare un toro che vuole scappare dal recinto, così non basteranno tutte le avversità a farti diventare, almeno dal punto di vista interiore, così diverso da quello che vorresti essere. E quindi "Dona Luuserta" è stata più che altro una sorta di automedicamento necessario prima di tutto a me, e che adesso è a disposizione di tutti all'interno del disco. Qualcuno la capirà di più, qualcuno di meno, qualcun'altro skipperà la traccia perchè magari gli interessavano di più altri brani, però è sicuro che questa canzone è stata l'origine del disco stesso.

Cosa ci dici invece di "Yanez", il pezzo che hai portato a Sanremo?


Se fossi un matematico o un fisico potrei enunciare un teorema che afferma il concetto che "La realtà può essere curvata". Come dice qualcuno probabilmente abbiamo più memoria delle cose che abbiamo creduto rispetto a quelle che abbiamo realmente vissuto. Secondo me noi abbiamo vissuto realmente delle cose, anche se non dal punto di vista strettamente fisico, però le abbiamo vissute da un punto di vista metafisico, e fanno comunque parte del nostro bagaglio personale come esperienze vere e proprie.
Il bambino Davide che lasciava andare in vacanza anche le lucertole del suo paese per andare a rompere la balle a quelle della riviera, si trovava in quel di Cesenatico, in una casa che veniva messa a disposizione dallo Zio Pilota, pluridecorato. Andavamo lì io, i cugini, la nonna Chiara, la mamma, e magari quando arriva il weekend anche mio padre ci raggiungeva. E c'era questo mare, che sicuramente per le persone di lago è una cosa destabilizzante: la spiaggia è molto diversa dalla riva, l'acqua salata ti fa galleggiare molto di più dell'acqua dolce, puoi camminare parecchio nell'acqua prima di arrivare al punto in cui non si tocca più, quindi è anche meno pericoloso, è più accomodante, però è anche sconfinato, e un po' per il sole che picchia in testa, un po' perchè non vedi cosa succede sulla riva opposta, ti può anche far pensare di curvare quella realtà. Allora tu che sicuramente leggevi sicuramente l'Uomo Ragno, Silver Surfer o i Fantastici Quattro, ma anche il libretto della biblioteca che dovevi terminare entro la fine delle vacanze per farne il riassunto, come "Le Tigri di Mompracen", o "Sandokan", ti creavi nella tua testa dei film personalissimi. E ti veniva spontaneo col passare del tempo prendere questi personaggi di fantasia e associarli alle persone del luogo, ad esempio ai bagnini, autorevoli, forti, abbronzati anche il giorno di Natale. E poi col passare del tempo vedevi queste persone cambiare, invecchiare, e solo i personaggi di Salgari non invecchiavano mai perchè loro rimanevano dentro il libro della biblioteca. Vedevi la pelle di queste persone raggrinzirsi come quella di una prugna, e vedevi i loro occhi che guardavano sempre più lontano, senza vedere più niente, con la gazzetta sotto l'ombrellone, in compagnia degli amici del bagno Renato. E pensando a queste cose tu dici, non me ne frega niente se spazio-temporalmente tutto questo non ha senso. Io voglio mischiare le mie vacanze dell'epoca, il cubismo della mia deviazione mentale, i pirati di ieri a quelli di oggi e li sposto da Mompracen a Cesenatico; non mi interessa dei vivi e dei morti, io li metto tutti assieme, e come in un felliniano contenitore voglio vedere cosa succede facendoli convivere in questa canzone che diventa un insieme di "Nun te reggae più", "Ramaya" e "Waka Waka".
Una canzone tutta in dialetto ma piena di nomi e di riferimenti ben precisi. Qualcuno ad esempio mi ha chiesto cosa vuol dire in dialetto Tremal-Naik? o Kammamury? E poi ci sono passate anche tutte le marche, Il Suzuky, Billabong, la Red Bull... Qualcuno mi ha chiesto: cos'è Redbull? Io rispondo guarda, è una roba che avete anche voi, la trovate in tutti i supermercati, autogrill...

Ma eri cresciuto anche tu col mito dello sceneggiato anni '70?

Sì, però sono cresciuto col mito della letteratura prima ancora che arrivasse lo sceneggiato di Sergio Sollima. Era una passione che mi aveva inculcato mio padre, è stato lui a iniziarmi al mondo salgariano; del resto è lui Yanez! Si chiamava Tiziano ma era Tizyanez alla fine dei conti. Quando ho scritto questa canzone la sua figura era ben presente nella mia testa. E quando poi è arrivato lo sceneggiato è stato una specie di deja vu per noi, vedevi in carne ed ossa quei personaggi e quelle situazioni che fino ad allora erano esistite solo nella tua testa. Ormai nell'immaginario collettivo la figura di Yanez corrisponde a quella di Philippe Leroy, e mio padre che ancora prima di me nella sua testa si era fatto il film, era quasi più contento della figura di Yanez che di quella della tigre della Malesia, di Kabir Bedi, che per altro era perfetto per il suo ruolo. Ma erano personaggi talmente diversi tra loro...

Tornando al disco, ci sono pezzi in cui non parli in prima persona di te stesso, o di cose che ti sono successe, o di cose che sono accadute nella tua testa...

Non è sempre necessario parlare in prima persona di sè stessi. Si possono utilizzare anche delle altre persone, dei joker che ti permettano comunque di far fluire delle emozioni, dei ricordi. Alcune cose sono impalpabili, elettronicamente non verificabili, però tu grazie a Dio fisicamente eri lì, in prima persona, testimone di quello che è successo, e per te una canzone, anche buffa e rocambolesca, può essere fortemente evocativa. Come ad esempio "Setembra". La canzone parla di quella sera in cui c'era in palio una barca. E mi ricordo che la Maria Passotta parlando con un altro diceva ‘Dov’è tuo padre?' E l'altro rispondeva: 'E' lì che parla col tuo', e lei ribatteva, 'sì, ma se uno non mette su i denti e l'altro non accende l'amplifon cosa si parlano a fare...' E di fatti uno parlava di vitelli, quell'altro di formula uno... Questa è una cosa successa realmente.
E' successo veramente che c'era una band di cui il batterista era il macellaio, e il bassista era il prete. E mi ricordo che una sera arrivò correndo da lui mio padre tutto trafelato, mentre lui stava suonando, per avvisarlo che era morto il papa, l'avevano appena detto alla televisione. Mio padre aveva pensato ' Quello è là che suona ignaro di tutto, bisogna avvisarlo subito'. Allora arriva lì: 'Don Luigi, don Luigi, è morto il Papa!'. E quello senza fare una piega 'E beh, era vecchio!' ed è andato avanti suonare ancora come se niente fosse. Questo ricordo non è di quella sera specifica della canzone, però poteva essere dell'anno prima o dell'anno dopo... Comunque questa barca era lì, e qualcuno avrebbe dovuto vincerla...

Tutti i tuoi cd si concludono con una canzone sul vento. A me è sempre piaciuto come parli del vento. In quest'ultimo cd c'è "Rosa del Vento", un pezzo in cui racconti di un vento che non si lascia pungere da niente ma ci ricorda tutti...

Questa canzone apparentemente parla di vento e di Rose. Tra l'altro originariamente si sarebbe dovuta intitolare proprio "Il vento e la rosa", poi ho cambiato il titolo perchè Patty Pravo a Sanremo ha cantato "Il vento e le rose"... Bastava che uno sbagliava a digitare il titolo su google per fare casino. Un conto è "Chiamami Ancora Amore" e "Ciamel Amuur", me se avessi lasciato anche "Il vento e la Rosa" sembrava veramente di fare la parodia di tutti quelli che erano stati a Sanremo e non mi sembrava il caso. Comunque, tornando a noi, questa canzone fondamentalmente è una preghiera. Non importa di che religione, ma è una preghiera. Dice che nessuno ha mai visto un essere umano in grado di scalfire un dio, ma è anche difficile pensare ad un'idea di un dio, o di spirito, che si dimentica dell'essere umano. Quindi è un rapporto costante. La Rosa sta nel vento, s'abbandona totalmente a lui, e il suo profumo si propaga proprio grazie al vento che lo porta in giro. Non sarà certo la rosa a poter distruggere il vento, a poterlo tagliare o ferire, ma il vento d'altra parte non sarà mai capace di dimenticarsi della rosa. Anche quando l'occhio brucia o la sabbia vola.

Testi a parte, cosa ci puoi dire di "Yanez" musicalmente parlando?


Beh, ovviamente un'altra cosa fondamentale nel disco oltre ai testi è la musica. A parte le parole, a parte il significato delle canzoni, ovviamente il resto è musica. E anche in questo caso bisogna dire che la scelta e la gestazione delle melodie e dei suoni non è stata così sbrigativa. Tutt'altro. Al di là delle mie chitarre acustiche e in due canzoni addirittura dell'armonica a bocca, cioè ne "il Camionista Ghost Rider" e in "Long John Xanax", in cui avevo bisogno di esprimermi in questo modo sguaiato, dylaniano e poco indottrinato per rendere quell'atmosfera roots che solo l'armonica sa offrire, abbiamo avuto il contributo fondamentale di un Anagapiemage Galiano Persico al violino, che ha dovuto interpretare a modo suo queste canzoni sicuramente non facili da interpretare, lavorando in parte con la sua razionalità e in parte con la sua emotività per arrivare a capire, da musicista, quello che ci voleva. E' stata per lui talvolta anche una sofferenza fisica, suonare magari fino a notte inoltrata dovendosi alzare la mattina dopo per andare a lavorare. Per questo motivo è capitato che arrivasse a suonare quasi in stato confusionale e visionario, soffrendo come il Caravaggio quando doveva dipingere le ultime pennellate di un'opera, ma il risultato è davvero straordinario. In alcuni brani, come per esempio "Maria", ci si rende conto che il violino non è il solito violino folk o country, ma è qualcosa di diverso, di graffiante, è quasi un violino gitano, zigano, orientato verso est; in altri brani invece lo sentiamo andare oltre oceano... Quindi ha fatto un lavoro veramente importante e prezioso da questo punto di vista.
Dall'altra parte c'è anche un Billa, Davide Brambilla, che oltre alla tromba, al pianoforte e alla fisarmonica, ha potuto usare anche degli organi Hammond d'epoca, che fortunatamente avevamo a disposizione, laddove non ha potuto suonare Alberto Gioia, hammondista veronese di lunga data. E quindi anche il suo è stato veramente un contributo eccezionale. Poi alla batteria ha suonato Marcello Schena, alle percussioni tutte le persone che erano in grado di maneggiare una percussione, e le chitarre elettriche invece sono state divise in due fronti: quelle di Maurizio Gnola Glielmo e ovviamente quelle di Francesco Piu, che ha suonato anche strumenti tipo il benjo e altre chitarre acustiche.
E poi al basso Paolo Negramandi, che ha suonato bassi acustici, bassi elettrici e tutto quanto. E poi c'è stato il contributo prezioso di Marco Vignuzzi, liutaio oltre che musicista, che avendo a disposizione strumenti molto antichi e abbastanza introvabili come un dulcimer o degli ukulele di un certo tipo, ha suonato come un ombra in molti brani del disco.
A questo magnifico gruppo, capitanato poi da Alessandro Gioia, produttore artistico del disco, e Dario Caglioni, uomo dei motori dell'Enterprise, è stato dato il compito di rendere fisico il sogno e il delirio del cantautore che aveva scritto questi brani semplicemente chitarra e voce; e lavorare con loro è stato veramente entusiasmante, mai noioso, sempre nel rispetto del sogno e della visione dell'artista.
Ora questi quindici brani esistono, sono reali, lo sforzo c'è stato, perchè per me è stato come strapparmi dei cerotti interni, perchè capite bene anche voi che storie come "Ciamel Amuur" o "il Reduce" io le ho tenute depositate dentro per tanto tempo perchè avevo quasi una sorta di pudore a esternarle, avevo paura di sanguinare e di soffrire troppo a tirarle fuori. Però poi mi sono detto 'non ha importanza, se c'è da sanguinare si sanguinerà', ma ormai era inevitabile che uscissero alla luce del sole. Sia chiaro, "Yanez" non è un disco shakesperiano, non spaventatevi, ci sono anche cose molto più tranquille! Però mentirei se dicessi che comporre questi pezzi è stata una passeggiata. Non lo è stato affatto.

Dopo Sanremo, adesso che hai più fama, più visibilità, ora che tanta gente ti conosce, cambierà qualcosa nel tuo modo di fare musica e soprattutto di rapportarti coi tuoi fan? Si potrà ancora venire a sentirti coi bambini, arrivare prima, vedere le prove..?


Io credo che potrai venire ancora se troverai qualcuno che ti darà un passaggio in macchina... No, scherzi a parte, certo che continuerà ad essere tutto come prima. Finchè ci sarà una piazza disposta ad accogliermi io continuerò a suonare come ho sempre fatto. Se poi questa piazza sarà un po' più piena meglio ancora, ci si divertirà di più. Per il resto mi sento di rassicurarti. Adesso abbiamo l'occasione di intraprendere un vero proprio tour teatrale, in posti anche molto importanti e per la prima volta anche molto a sud, e di conseguenza la cogliamo con entusiasmo, però sicuramente non cambierà una virgola nel modo di proporre la mia musica. Mi auguro che in futuro ci saranno tante altre piazze e forse, questo ve lo anticipo, in autunno, ci sarà anche la possibilità di poter proporre un grande concerto al Forum come quello di tre anni fa, per chiudere degnamente quest'avventura, ma ci stiamo ancora lavorando. E quindi più siamo meglio è! Famiglie, nonni, bambini... Tutti!

Reportage della presentazione di "Yanez" a cura di Bugs!