The D

Martedì 01 Marzo 2016 09:57
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"United States of Mind" è il nuovo lavoro della rock band campana. Elettrizzante brit rock con sorprendenti sperimentazioni in studio sono gli ingredienti principali di questo nuovo disco. Ci siamo fatti raccontare tutti i dettagli dagli stessi interessati

Adorano madre Britannia, suonano come una band inglese, brit rock all’ennesima potenza per questo giovane quartetto irpino, nato nel 2010 con un film e una lettera in mente: da Tenacius D and the pick of destiny con Jack Black nascono i The D. Dopo il fortunato ep "Alf" i The D hanno pubblicato da alcune settimane il loro primo album "United States of Mind": undici pezzi irresistibili tra elettrizzanti scariche rock e melodie a presa rapida, che hanno visto la luce anche grazie all'incontrato col giovane producer Federico Carillo e al sostegno dei fan che hanno aderito numerosi alla campagna di crowdfunding lanciata in rete dal gruppo. "United States Of Mind? è distribuito da Audioglobe e presente sulle principali piattaforme digitali.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con The Dabbler, aka Giuseppe Matarazzo (vocals, guitars, synth) , The Danger, aka Ciriaco Aufiero (guitars, backing vocals), The Damned, aka Vincenzo Golia D'Augè (bass, backing vocals) e The Dario,aka Dario Botta (drums, acoustic guitar, backing vocals) che ci hanno parlato del disco e non solo.

[Intervista a cura di Dan]


Ciao ragazzi, benvenuti su andergraund.it. Anzi bentornati, dal momento che ci eravamo già occupati in passato dell'uscita del vostro primo lavoro, l'ep "Alf". Sono passati un paio d'anni da allora. Cosa avete fatto in questi mesi? C'è qualche novità importante, a parte l’uscita del vostro nuovo lavoro di cui ci occuperemo tra un attimo?

Beh, l’uscita del disco è sicuramente la novità più importante, visto quanto ci ha assorbito nello scorso anno, per il resto siamo vivi e vegeti, sempre più motivati, pronti a consumare i brani del nuovo disco dal vivo.

Torniamo per un secondo al 2010 e raccontateci come è nato il progetto The D. Come vi siete incontrati e come e quando avete deciso di creare musica insieme?

Ci conoscevamo già da tanto, ma la decisione di cominciare a suonare insieme è nata per caso, chiacchierando del più e del meno e, a guardare indietro, non immaginavamo che sarebbe andata così, anche perché non è facile portare avanti un progetto così impegnativo quando non puoi permetterti di essere un musicista “per mestiere”. Fortunatamente oggi ci troviamo qui a parlare di un nuovo disco, quindi, tutto sommato, tutto bene!

Sono passati diversi mesi dalla formazione del gruppo ad "Alf". E' stato un percorso complesso quello che vi ha portato a una definizione della vostra identità oppure eravate semplicemente focalizzati su altro in quel periodo?

Venivamo da quattro mondi musicali molto diversi, è stato necessario impiegare tempo per capire, in primis, i ruoli e le diverse influenze, per poi costruire quella che è l’attuale identità della band. Ci siamo studiati a vicenda e ci siamo cuciti addosso una D.

Spiegate a chi vi conosce oggi per la prima volta da dove a origine il nome The D. So che si tratta di un riferimento cinematografico. Cosa ha rappresentato per voi il film a cui si riferisce?

Il film in oggetto è Tenacious D and the pick of destiny, demenziale da spavento, in perfetto stile Tenacious D. La scena in cui il duo si scontra con Belzebooss (Dave Grohl) è epica e si conclude con una ballata che ripete “we are the D, we are the D, we are the D”. Dopo averlo ripetuto nel sonno per 4 notti abbiamo deciso che ci avrebbe accompagnato in questa avventura.

Il vostro sound nel tempo si è modificato, ma l'impronta british rimane sempre ben leggibile nella vostra musica. Quattro teste avranno quattro modi differenti di vedere la musica, e i vostri gusti avranno sicuramente sfumature diverse, anche se immagino che di fondo la passione per un certo mondo musicale sia comune. C'è qualche artista o qualche gruppo in particolare che mette tutti d'accordo, verso cui i The D si sentono in qualche modo debitori per quello che sono ora?

Beh, si sfiorano le risse in sala prove quando si parla di Blur VS Oasis, ma ci sono due nomi che ci fanno brillare gli occhi e le orecchie. Quando si parla di Beatles e Rolling Stones restiamo tutti e quattro in rispettoso silenzio ed ammirazione, su certe cose non si può discutere. Siamo debitori a molti artisti, quelli già citati, ma anche altri dalla scena brit moderna: Arctic Monkeys, Libertines, Miles Kane, Franz Ferdinand, the Fratellis ed altri.

Dicevamo che il vostro sound è maturato nel corso degli anni. In particolare la novità principale che si può notare in "United States Of Mind", il vostro primo album uscito da qualche settimana, rispetto ad "Alf", è certamente l'uso del sintetizzatore che ha aperto a nuovi suoni e a nuove sperimentazioni, pur rimanendo sempre fedeli al vostro genere di riferimento. Raccontateci dal vostro punto di vista come si è evoluta la vostra musica e qual è stata la molla che vi ha spinto a cercare nuove strade?

Siamo cresciuti, forse il punto è questo, il sintetizzatore da la possibilità di utilizzare suoni, ambienti, arpeggi che impreziosiscono i brani e ampliano gli orizzonti sonori, sentivamo la necessità di non limitare la nostra espressione alla formazione classica del quartetto voce/chitarra/basso/batteria. Non è stato semplice inserire uno strumento in quello che era un equilibrio già solido, ma alla fine è stata un’evoluzione molto più naturale di quanto ci aspettassimo.

Come musicisti e come band quanto e come vi sentite cambiati invece rispetto agli inizi? In termini di consapevolezza e di approccio al lavoro per esempio.

Siamo cambiati, è impossibile dire il contrario. Siamo diventati più metodici in fase di stesura e di prova, è importante avere la consapevolezza dei propri mezzi, delle proprie idee e dei propri obiettivi. Abbiamo lavorato tanto su questo, abbiamo aumentato la soglia di attenzione su tutti i piccoli dettagli che possano rendere una canzonetta un gran brano. Abbiamo lavorato tanto sul suono della band, studiando in maniera maniacale ogni effetto, ogni strumento, ogni singola corda.


Tornando a bomba su "United States Of Mind", parlateci della gestazione e del parto di questa vostra creatura. So che il lavoro in studio è stato piuttosto impegnativo, proprio perchè vi siete trovati alle prese con delle cose nuove per voi. Quanto è stato duro, ma immagino anche divertente ed esaltante questo percorso?

E’ stata un’esperienza fantastica. E’ dura, durissima, a chi dice “sarebbe bello fare il musicista a tempo pieno” diciamo: si, è meraviglioso, ma impegnativo da far spavento. Incidere un disco non vuol dire solo registrare canzoni, il punto è trovare ogni modo possibile per far rendere un brano al 100% delle sue possibilità. La resa di un brano, spesso, è legata ad accorgimenti negli arrangiamenti che possono sembrare addirittura superflui, ma che poi, a cose fatte, fanno la differenza. E’ stato di vitale importanza lavorare con un produttore che ci sorvegliasse durante le incisioni e ci desse spunti per rendere il tutto coerente e performante. Proprio con lui (Federico Carillo) abbiamo sperimentato tanto, brano per brano, dalla spettacolare olofonia all’improbabile impermeabile-percussione al mattone fonoassorbente. Nel disco c’è tutto, ve lo garantiamo.

Soffermandoci invece sul concepimento del disco, i pezzi come sono nati? Chi li ha scritti e quando? E quanto sono cambiati rispetto all'idea iniziale nella versione che troviamo sul cd?

Le linee melodiche, per quasi l’intero disco, sono frutto del genio di Dario. Date una chitarra a quell’uomo e ne tirerà fuori un disco. Le sue idee vengono elaborate, introiettate e personalizzate dal resto della band. I testi li scrive Giuseppe per l’esigenza di poter adattare alla musica le parole e offrirle in pegno al pubblico. Come può sembrare prevedibile, i brani sono cambiati tanto durante le incisioni, non tanto strutturalmente quanto nelle finezze, nella gestione dei diversi strumenti, nella creazione di dinamiche che potessero consentire ai brani di essere molto intimi ed allo stesso tempo esplodere al momento giusto.

Quanto è stato decisivo per la buone riuscita del disco il contributo di Federico Carillo, che ha prodotto il disco? Come si sono incrociate le vostre strade?

Talmente importante che lo avevamo chiamato in causa ancor prima di questa domanda. Federico è in primis un amico, ma in questa occasione è stato il capitano di bordo. E’ una persona che trasmette professionalità anche quando registra il ronzio delle api o il suono delle campane in lontananza, riesce a mantenere la calma anche quando 9 cose su 10 non funzionano. Inutile dire che la sua mano si senta tanto sugli arrangiamenti finali dei brani, ci ha resi capaci di far diventare 11 brani un disco.

Il disco è già fuori da qualche settimana, e lo scorso dicembre c'è stata la presentazione ufficiale ad Avellino, la vostra città natale. A sangue freddo quanto siete orgogliosi del vostro lavoro, e soprattutto siete contenti di come sta andando e dei primi feedback ottenuti?

Siamo orgogliosissimi, da 0 a 10 lo siamo 128 (mila). I feedback sono molto positivi e meravigliosamente appaganti. E’ bello sentir fischiettare il ritornello di 6, 16, 26 o l’amato/odiato coretto di Pete. Abbiamo, inoltre, la fortuna di avere un pubblico che definire fantastico sarebbe riduttivo. Senza di loro non avrebbe senso tutto ciò.

Il disco è nato grazie a una campagna di crowdfunding. Che è uno strumento prezioso perchè permette di mantenere la libertà artistica più totale sul proprio lavoro. Leggevo che per voi la parte più importante dell'operazione è stata far capire che "non si stava chiedendo alla gente di “comprare” un disco ma di realizzarlo insieme". Questo è lo spirito del progetto e a quanto pare la gente lo ha recepito il messaggio e ha dimostrato di credere parecchio in voi e in quello che fate. E' un gesto di grande fiducia! Quanto questo ti esalta e ti spinge a dare il meglio, e quanto invece ti mette sotto pressione?

Nessuna pressione è solo una spinta assurda per dare il massimo. L’offerta musicale ormai è così vasta che il rischio di passare inosservati è altissimo, sapere che c’è chi, a scatola chiusa, crede nelle tue idee e nelle tue potenzialità è davvero fantastico e riesce a farti bypassare ogni problema di sorta.

Visto che la vostra esperienza è stata positiva pensate che potreste tornare a utilizzare questa forma di finanziamento anche per i prossimi dischi? E più in generale, pensate sia questa la direzione verso cui il mercato musicale indipendente andrà nei prossimi anni? Tra le altre cose a mio modo di vedere si tratta pure di un metodo molto democratico e meritocratico di fare musica, perchè è l'utente finale in prima persona a decidere di dar fiducia o meno a un determinato artista che conosce.

E’ ancora veramente troppo presto per pensare al futuro, per ora ci godiamo l’uscita del disco e ci facciamo delle sudate niente male da vivo. Credo che la formula adottata per la realizzazione di United States of Mind sarà la stessa per il suo successore, non cambieremmo nessuno dei tasselli che ci ha dato modo di tirare fuori quest’album.

Ragazzi, per concludere vi chiedo se avete già qualche progetto in agenda, a breve e lungo termine? Suonerete un po' in giro nei prossimi mesi? C'è qualche altra anticipazione che potete darci sulle vostre mosse future?

Tra gli obiettivi a breve termine c’è un videoclip, guardando più in la stiamo studiando l’organizzazione di un tour tra date italiane ed estere. Il disco ora c’è ed è il momento di farlo ascoltare a quante più persone possibili.

Ragazzi, abbiamo finito. Grazie mille della disponibilità e un grosso in bocca al lupo per tutto!

Crepi il lupo e grazie per la vostra di disponibilità. A presto.

 

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