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Amarcord

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Il 26 gennaio è il giorno dell'uscita di "Vittoria", l'opera prima della rock band fiorentina. In concomitanza con l'uscita del disco abbiamo fatto quattro chiacchiere con i ragazzi che ci hanno parlato del disco e di molto altro

Gli Amarcord arrivano da Firenze. Il loro percorso comincia diversi anni fa, e dopo una lunga di serie di fortunate partecipazioni a festival e contest musicali (tra cui Premio De André, Rock Contest, Emergenza Festival, Sanremo Rock e accedendo per due volte alla finale delle selezioni discografiche di Sanremo Giovani), e dopo un'infinità di chilometri macinati per suonare in lungo e in largo per la penisola, finalmente arrivano a mettere un punto nella loro carriera, con la pubblicazione del loro album d’esordio: "Vittoria", pubblicato per l'etichetta Clinica Dischi.
Il disco è il risultato delle esperienze raccolte in questi primi anni di attività, un percorso iniziato con l’incontro con Gianmarco Colzi (ex Litfiba e Rock Galileo) e concretizzatosi successivamente con Alex Marton (Firstline Production) che ha affiancato gli Amarcord nei panni di produttore artistico.
Nel frattempo la band, insieme ad altre della scena fiorentina, fonda Fiore Sul Vulcano, un collettivo di gruppi per mettere in condivisione diverse competenze artistiche per la valorizzazione dellle realtà musicali che ne fanno parte e per permettergli di esprimersi al meglio.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Francesco Mucè (pianoforte, voce), Marco Ventrice (chitarre, cori), Giovanni Mazzanti (chitarra elettrica, synth), Gabriele Burroni (basso, cori) e Riccardo Romei (batteria) che ci hanno parlato di "Vittoria" naturalmente, e più in generale del loro percorso.    [B!]


Ciao Amarcord, benvenuti su andergraund. Cominciamo a parlare un po' di voi, in modo che chi finora non vi conosceva ancora possa cominciare a farsi un'idea di chi siete. Quando comincia la vostra storia? Come vi siete incontrati e com'è maturata la decisione di far musica insieme?

[Ciao a voi.]
La nostra storia comincia molti anni fa infatti gli Amarcord sono un progetto che praticamente esiste da quando, per la prima volta, ci è venuto in mente di formare una band. Le prime tracce di un’idea embrionale di quello che siamo adesso risalgono al 2006 ovvero al primo anno di scuola superiore. Ci sono stati dei cambiamenti nella formazione nel corso degli anni ma l’unico veramente rilevante risale a due anni fa, con l’ingresso di Riccardo alla batterie.
Gli Amarcord sono il frutto dell’unione di amicizie, di parentele e di incontri fortunati e casuali. Se dovessi ricostruire una cronologia perfetta degli eventi che ci hanno portato a costituirci non saprei farlo, tuttavia quello di cui sono certo è che se ci troviamo a parlare di questo percorso nel 2016 allora vuol dire che sono successe molte cose.

Amarcord è un omaggio al cinema di Fellini, ma c'è anche un riferimento al dialetto romagnolo. In che modo vi sentite vicini al genio italiano e come mai questo riferimento alla Romagna dal momento che siete tutti fiorentini?

Può suonare strano in effetti. Ti spieghiamo come è andata.
Quando abbiamo scelto il nome eravamo circondati da gruppi con nomi stranieri. Noi volevamo opporci a questa tendenza esterofila e quindi “Amarcord” ci ha dato la possibilità di tenerci allacciati alla tradizione delle belle produzioni artistiche italiane, lasciando intatto quel potere evocativo che hanno le parole che suonano estranee al lessico quotidiano. E’, in qualche modo, una scelta contro l’abbandono dell’italiano e delle sue nuove possibili forme, della sua tradizione anche regionale. L’idea è quella di opporsi ad un’estetica da grande discount mondiale.

"Vittoria" è il vostro primo disco, in uscita in questi giorni, e arriva a diversi anni di distanza dalla nascita del progetto Amarcord. Anni molto intensi, densi di incontri, riconoscimenti, opportunità più o meno importanti, contatti col pubblico e ricerca artistica. Cosa rappresenta per voi questo album? E' sicuramente un punto di partenza, ma forse è anche un punto di svolta, la fine di una fase.

Non c’era fretta di fare una cosa da rinnegare di cui non sarebbe interessato nulla a nessuno. Abbiamo aspettato di sentirci pronti e convinti del risultato. La maturazione sia autoriale che musicale ha bisogno di tempi che sono più lunghi di qualche mese di Talent, come vogliono farci credere.
Per noi l’album rappresenta un passaggio chiave. Ci sono dentro tutti gli incontri e le discussioni degli ultimi 5 anni. “Vittoria” è il risultato dei vari tentativi di approfondire linguaggi diversi, con l’idea di non piegare il testo alla musica e viceversa. E' la ricerca di un equilibrio tra un testo musicale e metrico e un sound di ispirazione internazionale. E’ il disco che ci ha visto crescere, dal liceo fino alla disoccupazione, (in realtà siamo tutti laureandi ☺) e quindi porta con sé inevitabilmente tutta una serie di ricordi felici, dalla convivenza a Follonica (in trasferta) per realizzarlo, ai tanti concerti vissuti insieme. “Vittoria” ha consolidato il rapporto e l’amicizia con Alex Marton che con noi lo ha registrato e prodotto. Sicuramente con questa pubblicazione si apre una nuova fase.

Il disco è in uscita in questi giorni, quindi è sicuramente prematuro fare dei bilanci, ma sicuramente avrete già fatto sentire i pezzi a qualcuno e avrete ottenuto dei primi riscontri. A sangue freddo quanto siete orgogliosi del risultato e siete soddisfatti delle prime reazioni all'ascolto dei pezzi?

L’album è una sorta di selezione dei brani fatti in questi anni. Ogni brano ha segnato un passaggio importante per noi di crescita. Tra questi ci sono brani che ci hanno dato dei riscontri di cui siamo orgogliosi: “I nostri discorsi” e “Il vostro gioco” sono stati scelti da Mauro Pagani tra i sessanta finalisti delle selezioni discografiche di Sanremo negli anni di conduzione di Fazio, “Lucifero o Beatrice” è stato un brano finalista al premio De Andrè del 2013, Psicosi è stata scelta come miglior canzone in Italiano del Rock Contest Controradio di quest’anno, Sulle mie Spalle fu scelta come secondo miglior brano in gara in un lontanissimo Sanremo rock, quando eravamo a malapena maggiorenni.

Addentriamoci un po' più nel vivo di "Vittoria". Musicalmente parlando è un rock classico, molto onesto e diretto, positivo, impreziosito qua e là da qualche momento di sperimentazione. C'è qualche gruppo o qualche artista che rappresenta un punto di riferimento per voi, o a cui vi sentite particolarmente vicini?

Ce ne sono molti, internazionali e italiani. Per la prima categoria ci siamo sempre interessati alla musicalità dei primi Coldplay, alla cerebralità e alla libertà sofferta dei Radiohead, e poi le batterie dei The National, l’elettronica di Apparat e John Hopkins, la psichedelia dei Tame Impala e degli MGMT. Per la seconda categoria siamo molto appassionati ai Baustelle, ci sono all'interno del nostro album dei richiami ad alcune loro canzoni. Poi bisogna dire che siamo cresciuti con i gruppi che passavano da Mtv, il canale più seguito di allora, e ci colpivano i Negrita, i primissimi Negramaro, i Subsonica; siamo sempre stati molto interessati ai progetti che riuscivano ad arrivare al grande pubblico mantenendo una coerenza e un'identità artistica tale da rinnovare il panorama nazional popolare. Bisogna dire che il crollo del mondo discografico ha reso questo meccanismo sempre più difficile e le politiche miopi delle major hanno peggiorato la situazione (Ennio Morricone arrangiò “Sapore di sale”, una volta interessava che la cultura nazional popolare non fosse spazzatura). Ultimamente abbiamo apprezzato il lavoro di thegiornalisti e siamo andati al concerto di Fabi Silvestri Gazzè, abbiamo cantato Calcutta ed elogiato Die, l'ultimo di Iosonouncane. Ci interessa tutto ciò che di bello succede nella scena italiana insomma, dal cantautorato (Vasco Brondi, Dente) ai gruppi come i Verdena (di cui una parte di noi si è propria nutrita), al pop d'autore. E infine c'è il passato, l'eredità culturale dei nostri genitori, i grandi classici del cantautorato e le canzonette nazional popolari degli anni sessanta. Si può dire che il nostro album è un omaggio a tutti questi innamoramenti.

Come ci avete detto i pezzi contenuti nel disco non sono nati tutti nell'ultimo periodo, c'è anche del materiale più datato che avete "ripescato dal cassetto". Come lavorate sulle vostre canzoni? Da chi arriva lo spunto iniziale e qual è il contributo del gruppo allo sviluppo dell'idea?

I pezzi dell’album coprono un arco temporale ampio. Si va da “Lucifero o Beatrice” che è uno dei primi pezzi scritti e arrangiati fino a “Tutti Fermi” che è stata scritta pochi mesi fa. Ovviamente i brani sono stati ripresi e registrati in modo da rendere minime le differenze all’ascolto.
Le nostre canzoni subiscono varie fasi di lavorazione. Tutto parte dai due autori che hanno scritto le canzoni dell’album, Marco e Francesco. Ogni canzone viene prima scritta da ciascuno e poi portata al gruppo, magari completandola insieme, ma già solida nella struttura. Non tutte le canzoni che vengono scritte sono considerate buone per il progetto Amarcord e quindi, in qualche modo, viene fatta una selezione. Si ricerca una scrittura da gruppo, un testo metrico che non sovrasti la musica con un fiume di parole, cosa a cui però, ogni tanto, ci lasciamo andare.
Superata questa prima fase, per la canzone, arriva il momento più denso e condiviso che è quello dell’arrangiamento. E’ un lavoro di artigianato. Come sarti cerchiamo di fare un vestito. La cosa che rende interessante il processo è che questo avviene, ogni volta, in modo imprevedibile. Non abbiamo un approccio standardizzato. Una volta si parte dalla manica, altre dal colletto. Lo spunto che convince tutti può arrivare da ogni parte e si impara sempre qualcosa di nuovo. Se non viene si continua a cercare finché tutti non sono convinti. Confessiamo che questo a volte può generare qualche tensione.

I vostri testi sono prevalentemente personali, e nascono da un lavoro di introspezione, o prendono spunto dall'osservazione di ciò che accade intorno a voi? O entrambe le cose ovviamente? Quanto è utile e terapeutico fissare su un foglio riflessioni ed emozioni intime, ma anche impressioni e storie che ti colpiscono?

Entrambi gli autori del gruppo girano con dei piccoli quaderni su cui annotano spunti e riflessioni. E’ importante non lasciare che nulla di istintivo si perda. Concordiamo che c’è qualcosa di terapeutico nell’atto di scrivere quello che si ha dentro, non per forza canzoni. Gli spunti possono arrivare da tutte le parti e possono essere sia interiori che esterni a noi. Il punto sta nel cercare di essere ricettivi.

Il primo singolo estratto dal disco, "Il Vostro Gioco", è un pezzo che parla della leggerezza perduta. Viviamo in una società troppo spesso cinica e crudele, e che tende a prendere tutto troppo sul serio?

Sicuramente il vostro gioco parla del contesto intorno a noi. Un orizzonte di violenza, una lotta tutti contro tutti, una continua esibizione di cinismo volgare, una presenza costante di addetti alla distruzione del sogno. La crisi di questi anni ha aumentato la miopia. Bisogna ripartire dal piccolo, tornare a tessere reti solidali. C’è il bisogno di prendere più sul serio le relazioni con gli altri e non solo se stessi e i proprio bisogni o problemi.

Tra le varie tracce del disco mi hanno colpito particolarmente un paio di canzoni di cui mi piacerebbe parlare con voi. La prima, "Corde Amare", nasconde dietro ritmi allegri e coinvolgenti, che sono in linea col mood del vostro album, una riflessione sul tema della morte. E' dunque possibile parlare di questo tema anche con una certa spensieratezza e serenità? In fondo è anche quella una fase imprescindibile della nostra esistenza. Cosa ci potete dire del pezzo?

Corde Amare è una delle canzoni più datate del disco. E’ stata scritta in un momento in cui si prendeva coscienza della finitudine delle cose. E’ una canzone sulla gestualità del saluto e dell’addio. Scriverla, per riallacciarci alla domanda di prima, ha avuto uno scopo terapeutico. E’ una delle poche tracce che racconta una storia nel senso più classico. Nel testo si sovrappone ciò che è ritenuto socialmente importante a ciò che è inesorabile e irreversibile e che ridimensiona tutto il resto.
Non credo che fosse nostro intento trasmettere spensieratezza o serenità. Abbiamo fatto quello che in quel momento ci sentivamo di fare e del risultato, ovviamente, non ci assumiamo responsabilità :)

L'altro pezzo che colpisce è senz'altro "I Nostri discorsi", in cui citate l'attivista morto a Gaza nel 2011 Vittorio Arrigoni. Parlateci di cosa rappresenta per voi questo brano. "Prendiamoci un futuro migliore" è un messaggio chiaro e forte. E quanto mai attuale.

I nostri discorsi è una canzone contro l’obbligo di razionalizzare. E’ un invito ad essere unici e sognatori, a riappropriarsi delle proprie visioni e aspirazioni, anche infantili. E’ una canzone contro il cinismo che immobilizza e che porta a rispettare schemi determinati. Per quanto riguarda Vittorio Arrigoni ci aveva colpito un’intervista della madre che nonostante la morte del figlio aveva comunque voluto ricordarlo con un suo messaggio dal valore umanitario, una traduzione del dolore in un messaggio positivo.

Quanto è stato importante l'incontro con le persone che avete incrociato lungo il percorso per la buona riuscita del disco? Mi vengono in mente Gianmarco Colzi prima, e Alex Marton poi, che vi ha affiancato nella produzione artistica. Dimentico qualcuno?

Gianmarco e Alex sono stati due incontri fondamentali e profondamente diversi. Gianmarco ci ha conosciuti giovanissimi ed è stato il primo a credere in noi e alle nostre canzoni in modo completamente libero e appassionato com’è lui. Vedere che un musicista rispettato a Firenze aveva voglia di seguire la nostra crescita ha aumentato la nostra consapevolezza. Lavoravamo molto insieme in sala prove per cercare e affinare arrangiamenti diversi, per trovare una strada che ci convincesse. Ci ha dato le basi del costruire canzoni e ci ha martellato duramente sui nostri limiti tecnici dovuti all’età. Non potremmo mai ringraziarlo abbastanza per quei giorni.
Alex è stato un incontro avvenuto in una fase diversa. Eravamo diventati molto più solidi e convinti dei nostri brani che infatti iniziavano a girare per i festival e le manifestazioni nazionali. Ci siamo incontrati per caso, per motivi legati ad un videoclip. Alex si trovò “I nostri discorsi” per le mani. Ci siamo piaciuti subito. Alex si è proposto di dare una direzione più discografica al progetto e di esserne produttore.
Lavorare al disco insieme ci ha fatto capire molto su ciò che serve affinché un arrangiamento renda bene anche in studio.
E’ un punto di riferimento e un fratello maggiore; insieme ad Alessandro Cesqui (Novunque), che da questo anno segue il nostro management, ci consiglia e ci aiuta su ogni decisione discografica e scelta musicale.

Il vostro è un lavoro molto curato e studiato anche dal punto di vista visivo. L'artwork e tutte le illustrazioni che compaiono nel libretto sono opera dell'artista Francesco Parretti. Com'è nata questa collaborazione e quanto trovate importante offrire al pubblico un prodotto bello e godibile anche da altre angolazioni, oltre alla musica.

Francesco è prima di tutto un amico. Abbiamo sempre guardato con interesse i suoi disegni e le sue creazioni perché sono cariche di una voglia di rivincita generazionale. E’ importante, per noi, che ci siano reti artistiche che si aiutino e si alimentino a vicenda. La musica ha a che fare con l’arte figurativa soprattutto in senso sociale e civico.
Offrire un prodotto bello, anche esteticamente, per noi è uno stimolo interessante. In questi anni viviamo una disaffezione verso le cose materiali e questo sta portando una certa freddezza e una certa incapacità a riconoscere le cose belle. Sono molto legato al cd e ai dischi perché hanno rappresentato un passaggio bello nel rapporto con mio padre. Poter scambiare opinioni con lui sui dischi che ha amato mi ha fatto capire molto di lui. Non credo sia sano il modo moderno di buttare tonnellate di giga di musica mai ascoltata in hard disk a futura memoria perché, in questo gesto, non c’è nessun valore affettivo. A mio figlio non vorrò lasciare hard disk pieni di canzoni a cui non ho dato valore. Vorrò lasciargli un giusto numero di cd che potrà ascoltare e di cui potremo discutere. Tra questi cd ci sarà “Vittoria” che non volevo sfigurasse a confronto con gli altri. :)

Mi sembra molto interessante quello che avete messo in piedi insieme ad altre band. Mi riferisco naturalmente a Fiore Sul Vulcano. Volete raccontarci di cosa si tratta e in cosa concretamente vi è stato utile nel corso di questi mesi?

Fiore sul vulcano nasce da una nostra idea. Per noi è una scommessa che non possiamo perdere. Con altre band fiorentine che producono musica originale in lingua italiana abbiamo deciso di unire le forze e fare rete partendo dal basso. L’idea è quella di riunire il pubblico fiorentino a cui piacciono gli eventi live e questo genere musicale senza farci guerre inutili o cercare di frammentarlo (pratica molto diffusa nella nostra Firenze). La musica deve fare quello che sa fare meglio cioè unire. Concretamente è successo che le conoscenze e il rispetto reciproco si sono trasformate in amicizie sincere. Ci si pubblicizza a vicenda. Si cercano situazioni condivise per tentare di emergere insieme.
Il solo fatto di esistere ci ha permesso di gestire tutta una serie di eventi e serate che, fortunatamente, stanno andando bene. Ciò ci permette di coinvolgere anche altre band che non fanno parte strettamente del collettivo ma con cui si instaurano relazioni positive. In futuro speriamo di poter diventare un’etichetta discografiche che faccia le cose alla vecchia maniera e fortemente radicata su Firenze, ma non c’è fretta.

Ragazzi, siamo praticamente arrivati alla fine ma prima di lasciarvi non posso non chiedervi quali sono i vostri progetti a breve e lungo termine. C'è già qualcosa in cantiere? Suonerete un po' in giro nei prossimi mesi?

I progetti a breve termine sono legati al disco che ci auguriamo possa essere ascoltato e possa piacere. Speriamo di poterlo suonare il più possibile. In questo senso Worilla Booking e La Clinica Dischi che è l’etichetta che ha deciso di appoggiare la nostra uscita, lavorano per il tour che conta già un buon numero di date. A fine anno andremo a registrare la base del nostro secondo lavoro nello Zoo Studio di Luciano Ligabue. Questo come premio per la migliore canzone in italiano che abbiamo vinto nell’ultima edizione del Rock Contest Controradio. Nel frattempo ci dedicheremo alla crescita di “Fiore sul vulcano”.

Bene, adesso è davvero tutto. Grazie mille per il tempo che ci avete dedicato e un grosso in bocca al lupo per "Vittoria" e per tutto il resto!

Grazie a voi per mantenere vivo l’interesse verso la musica indipendente e originale.
Grazie per l’impegno a tenere aperti questi spazi in cui ancora si può parlare e raccontarsi in questi anni difficili. E’ una cosa che non viene sottolineata abbastanza.
Senza finisce tutto.
Crepi!


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