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Intervista a Roberto Rimoldi

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Com'è nato e come si è sviluppato il tuo interesse per la musica? C'è stato qualcuno, magari nella tua famiglia, che ti ha trasferito questa passione?

Innanzitutto devo premettere che io ho la fortuna di avere alle spalle una grandissima famiglia, in cui la musica è stata sempre molto presente. Mio padre è batterista, anche suo fratello è batterista. Io ho dei bellissimi ricordi a riguardo. Mi ricordo che quando mio padre faceva il turnista, e ha collaborato anche con importanti musicisti, ci portava sempre con lui, a me e a mia madre. E devo dire che tutto questo, il vivere a stretto contatto con quest'ambiente, in qualche modo inconsciamente ha contribuito a far crescere in me questa passione. E quindi sicuramente se faccio quello che faccio lo devo in gran parte alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto in tutti questi anni, mi ha incoraggiato a seguire le mie inclinazioni e a realizzare i miei desideri. Non mi hanno mai ostacolato e mi incoraggiano sempre; quando ho dei progetti vado sempre da loro per avere dei consigli e per sentire cosa ne pensano. C'è un dialogo molto bello e diretto con loro. Anche in campo più strettamente musicale c'è uno scambio molto vivace. In casa mia si è sempre ascoltata ottima musica: girano dischi dei Led Zeppelin, dei Deep Purple, degli Yes, degli U2 o dei Pink Floyd; a volte capita di andare a sentire dei concerti insieme. E' una famiglia con una mentalità molto giovanile. E tutto questo indubbiamente ha contribuito a far crescere in me l'amore per la musica.

Comunque è stata una cosa molto spontanea. A volte capita che in una famiglia di musicisti ai figli venga messo in mano fin da piccoli lo strumento che suonano i genitori e il fatto di diventare musicista risulta una scelta quasi obbligata...

Sì, a volte succede questo, ma sicuramente non si tratta del mio caso. Anche mio fratello è musicista, lui fa il pianista. A dire la verità inizialmente lui ha iniziato a suonare le batteria e io il piano. Poi dopo poco i ruoli praticamente si sono invertiti. Ma i miei genitori non ci hanno mai fatto pressioni in questo senso. Sono sempre stato libero di assecondare le mie inclinazioni. Per un periodo ho giocato a pallone, poi ho fatto judo, e i miei genitori non hanno mai ostacolato queste mie attività. Ripeto, la passione per la musica è nata in maniera completamente spontanea ed è non è stata in alcun modo forzata.

Fai qualcosa nella vita oltre il musicista e pensi che sia possibile a questi livelli vivere di sola musica?

Questa domanda devo dire che è un po' un'arma a doppio taglio. Premetto che io nella vita oltre a fare il musicista lavoro per una società che si occupa di impianti telefonici. Ho cominciato facendo l'elettricista, mi è sempre piaciuto come lavoro, era una cosa che mi appassionava e soprattutto mi permetteva di ritagliarmi degli spazi per dedicarmi alla musica. Perchè la musica fa parte della mia vita. Se non ho in mano le bacchette durante la giornata sto male, non mi sento completo. E' una cosa di cui non posso assolutamente fare a meno. E anche oggi ho la fortuna di lavorare per un'azienda che mi consente di gestire in maniera molto singolare il mio lavoro. Ho degli obiettivi che porto a termine, con la possibilità di organizzarmi con gli orari, e questo mi consente di gestire e di vivere la musica in maniera molto libera. E questo mi permette di essere libero di fare solo quello che mi va di fare in ambito musicale. Io scelgo i miei progetti perchè mi piace farli, non per un obbligo. Non so se mi spiego? Ma questa è una mia scelta. In ogni caso penso che vivere di musica a questi livelli secondo me si può.

Una risposta un po' controtendenza. Di tutti i musicisti che abbiamo sentito finora sei il primo che ci risponde così.

Dipende da cosa ti aspetti dalla vita. Io sono una persona coi piedi ben piantati per terra, forse troppo. Mi piace avere delle certezze nella vita. Come ti dicevo prima mi piace scegliere con la mia testa quello che voglio fare. Non voglio arrivare al punto di dover suonare per forza, magari accettando proposte che non mi convincono a fondo, perchè devo portare a casa una cifra. Io sono consapevole che nell'ambiente che frequento io, rock blues e jazz, lo cifre girano e sono delle cifre normalissime. Ci sono altri ambiti dove potresti suonare in maniera diversa o addirittura far finta di suonare ed avere un riscontro a livello economico decisamente maggiore. Ma personalmente punto soprattutto alla mia gratificazione personale e ritengo che la cosa fondamentale sia andare a letto la sera ed alzarmi al mattino sentendomi orgoglioso di quello che ho fatto, anche se ho avuto voglia di andare a farlo gratis o quasi. Poi ognuno sceglie la propria strada. Io personalmente la vedo così.

Collabori da parecchi anni con una nostra vecchia conoscenza, Joe Valeriano. In che occasione l'hai conosciuto e come è evoluto il vostro rapporto professionale?

Eccola. Questa risposta la deve leggere assolutamente e gli manderò anche il link dell'intervista. Perchè lo dico e lo ribadisco, e deve essere scritto chiaramente, Joe è stata una delle persone fondamentali nella mia vita artistica. Sicuramente lui ha contribuito in maniera decisiva a dare una svolta alla mia carriera musicale. Il nostro primo incontro è stato molto strano e abbastanza fortuito. Era intorno al 20 febbraio del 1997.Un pomeriggio casualmente, per motivi di lavoro, sono passato un attimo da casa, e proprio in quel preciso istante è suonato il telefono, all'epoca non avevo il cellulare, ed era Joe. Si è presentato, mi ha detto che in qualche modo gli era arrivato il mio numero, dicendomi che aveva una serata in un locale anche abbastanza conosciuto nella zona, e che tuttora ogni tanto frequento, e che aveva bisogno di un batterista. Mi presento al locale e mi trovo Joe Valeriano nell'inconsueta veste di bassista e Dave Electric alla chitarra. Facciamo il soundcheck e io mi ricordo benissimo che Joe mi disse "Fammi un tempo rock" e io gli ho fatto un tempo rock. Poi mi dice "Fammi un tempo blues" e io gli faccio un tempo blues. Basta, tutto qui. Abbiamo preso e siamo andati a mangiare. Devo essere sincero: quella sera non sapevo precisamente cosa sarei andato a fare, ma i primi che mi hanno fatto suonare veramente sono stati loro due. Da quella volta poi ho avuto i contatti con Joe, ci siamo scambiati i numeri di telefono e la settimana dopo mi ha portato a suonare in una serata ad Alessandria insieme a Kim Brown. Quella sera mi ha fatto capire che la strada che stavo percorrendo aveva bisogno di una svolta, e lui è la persona che realmente ha reso concreta questa svolta.

Quali altri impegni musicali segui attualmente oltre a questa collaborazione con Joe Valeriano?

Allora, devo dire che di impegni musicali ne ho parecchi, però se devo essere sincero, posso affermare che al momento la mia attenzione è concentrata principalmente su tre situazioni: la collaborazione con Joe Valeriano, che comunque va avanti da oltre undici anni ormai; ho suonato in alcuni suoi album, in alcuni suoi bootleg, e devo dire che sono fiero di questa cosa. Poi ho altre due collaborazioni importanti a cui tengo in maniera particolare. Suono in altri due gruppi, i Bonus Track e i Texas Trouble. Nei Bonus Track suono con Riccardo Massini e Gianfranco Torta, mentre nei Texas Trouble suono con Gino Lucietto e Matteo Palavera. Prendo come punto di riferimento le due figure di spicco di queste band, che sono Ricky Massini e Gino Lucietto. Con Ricky Massini recentemente abbiamo preso parte al festival dedicato a Rory Gallagher in Irlanda, e abbiamo in programma delle tournee da affrontare in Inghilterra e in Olanda. Adesso Ricky Massini sarà ospite al sessantacinquesimo compleanno di Mick Abrahams, ex Jethro Tull, in Inghilterra, ha fatto delle session con Tommy Manuel... comunque è una persona molto importante. E Gino Lucietto è una persona altrettanto importante, e anche lui vanta delle collaborazioni molto prestigiose. Con loro portiamo avanti queste due band che sono due band molto diverse l'una dall'altra. Con i Bonus Track suoniamo principalmente pezzi di Rory Gallagher. Non si tratta però di un vero e proprio tributo, perchè lavoriamo sia su pezzi di Rory Gallagher che su pezzi originali. Con i Texas Trouble invece facciamo principalmente pezzi di Hendrix e Vaughan, e brani originali di Gino Lucietto. E con entrambi i gruppi c'è anche in programma la pubblicazione di un disco. Sia Gino che Riccardo sono due chitarristi eccezionali e delle bravissime persone. Mi trovo veramente bene con loro, sia a livello umano che musicalmente parlando. C'è rispetto e amicizia sia da una parte che dall'altra, e questa è la cosa che a mio modo di vedere conta di più.

Ci spieghi come fai ad organizzarti per suddividerti tra il lavoro e tutti questi vari impegni musicali?

Sono delle cose che vanno molto pari passo. Sono tutti progetti molto organizzabili e sono ambienti completamente diversi che non interferiscono in minima parte tra di loro. Tutte queste formazioni riescono a convivere anche perchè c'è sempre stato un ottimo rapporto con tutti; ci parliamo molto e cerchiamo di non far interferire in alcun modo tutte queste situazioni. Soprattutto per mantenere un buon andamento a livello di rapporti umani. Se uno parla e mette in chiaro le situazioni fin dal primo momento si riesce ad evitare qualsiasi tipo di screzi o situazioni spiacevoli.

Quindi non c'è nessuna sorta di "gelosia" nel dividerti con altri progetti?

No, assolutamente. Ribadisco: sono progetti molto diversi tra loro. Quando suono con i Texas Trouble, che hanno un suono blues rock più americano suono in certo modo, con i Bonus Track, che hanno un suono irish blues, molto più inglese, suono in un altro modo. Quando suono con Joe Valeriano suono in maniera ancora differente. Vedo di trovare ogni volta il "sound Bonus Track", il "sound Texas Trouble" o il "sound Joe Valeriano". Sono proprio situazioni molto diverse tra loro, ognuna viaggia per la sua strada, non possono interferire più di tanto tra loro. E poi c'è molto rispetto per ognuno di questi progetti. Basta sapersi organizzare un minimo.

Nel 2006, con i Texas Trouble, hai partecipato al Ducati Desmo Challenge e siete entrati a far parte del team Ducati. Di cosa si trattava? Raccontaci com'è andata.

E' stato Gino che ha reso possibile tutto questo. Lui aveva dei contatti con qualcuno della Ducati Desmo Challenge, e un giorno ci hanno chiamati per suonare. La prima volta è stata un esibizione all'autodromo di Varano se non mi sbaglio, e da lì è partita questa collaborazione con la Ducati. Abbiamo iniziato a girare gli autodromi, a fare degli eventi live nei puddock, sempre per conto della Ducati, che poi quest'anno si sono spostati nei motoraduni all'aperto, grazie alla Compagnia dei 100HP, una compagnia esterna sempre della Ducati, che organizza raduni, motoraduni e avvenimenti di questo genere. Ed è stata un'esperienza piuttosto particolare, perchè non ti trovi più a suonare nei soliti spazi ma negli autodromi. Non è una cosa da palchi giganteschi, è una cosa abbastanza raccolta, come in un locale, però è all'interno di un puddok dove comunque vivi in mezzo alle moto tutto il giorno... è stata una bella esperienza!

Oltre che quello con Joe Valeriano quale altro incontro o collaborazione è stato particolarmente importante nella tua carriera?

Bè, a parte quelli già citati un incontro particolarmente significativo è stato sicuramente quello con Kim Brown. Quello con Kim Brown è stato un'altro incontro molto singolare. Quando ti trovi a suonare con una persona che per anni ha vissuto con un certo tipo di musica, senza stare a guardare il livello tecnico o meno, quando una persona ha vissuto il rock n'roll, il solo stare sul palco con lui ti trasmette qualcosa, ti trasmette la storia. Quindi da questo punto di vista Kim Brown dei Cadillack sicuramente è stata una delle mie collaborazioni più importanti. E anche il batterista dei Renegades, Grey Johnson, col quale mi sono trovato a suonare in una serata, sempre con Joe Valeriano, a Lignano. C'era anche Kim Brown. Facevamo un pezzo uno e un pezzo l'altro, poi alla fine abbiamo duettato. Anche questo è stato un incontro veramente importante per me. Era un batterista eccezionale, e sentendo suonare un batterista di quegli anni ti trasmette proprio quella che è stata la storia del rock n'roll. Quello che non si sente più adesso. Ascoltando questi artisti ti rendi conto come una volta le cose fossero diverse. C'era molta più improvvisazione, le cose erano più spontanee, oggi è tutto fin troppo studiato nei minimi particolari, magari c'è fin troppa precisione e poca anima, poco istinto. E questo secondo me frena molto. Quando vado ad un concerto io personalmente voglio sentire cosa un musicista ci mette di suo, o non il clone dell'originale. E queste persone suonavano proprio così. Ed è questo, la spontaneità, la lezione più importante che ho appreso da loro.

Quali sono le soddisfazioni più grandi che hai avuto nella tua carriera? C'è qualche momento che ricordi con particolare piacere?

Devo essere sincero, di soddisfazioni nel corso della mia carriera ne ho avute tantissime. Ci sono stati momenti belli, momenti brutti, momenti in cui non credi in te stesso, momenti in cui ci credi, però la mia soddisfazione più grande sta, dopo anni di attività come musicista, nell'aver portato a termine una ricerca su me stesso che mi permette ogni volta di riuscire a tirar fuori un lato nuovo di me a seconda della persona che mi trovo a fianco quando suono. E' il discorso che facevamo prima. Riuscire a dare una propria personale impronta ad ogni formazione con cui suono. E questa per me è una grandissima soddisfazione, a prescindere dallo strumento che suoni. Magari ad altri può sembrare una cosa banale, ma per me è una cosa molto importante. Per uno la soddisfazione più grande può essere suonare in un determinato posto o con determinate persone. Io ne ho avute di esperienze del genere, però personalmente ritengo che la data in Inghilterra o negli Stati Uniti sia importante tanto quanto la data nel pub sotto casa dal momento che qualcuno è venuto lì apposta per vederti, sia che abbia fatto cinquecento metri o duecento chilometri. Per me l'importante è riuscire in ogni situazione a tirar fuori quello che hai da trasmettere.

Visto che suoni in diversi gruppi, differenti tra loro anche come impronta musicale, a quale di questi ti senti più vicino come stile?

A me piace il jazz, mi piace il rock, mi piace la fusion. Mi piace tutto. Mi piace anche il liscio. Ma tra tutti mi sento più vicino al blues. Ma il blues interpretato alla mia maniera. Io ho ascoltato diversi generi musicali, ho ascoltato tantissimi batteristi e tantissimi gruppi. Quello che cerco di fare quando suono è di trovare un mio modo di suonare. Per tornare alla domanda che mi hai fatto comunque il genere a cui mi sento più vicino è il rock blues, ma cerco sempre di personalizzare questo genere col mio modo di suonare. Magari suono del blues con delle influenze piuttosto jazzistiche, o delle cover rock con delle sfumature blues.

C'è un pezzo che rappresenta meglio il tuo carattere e il tuo modo di essere?


Bella domanda. Al momento mi viene in mente "Pride and Joy" di Stevie Ray Vaughan. Non solo perchè è una canzone che ho suonato miliardi di volte, ma soprattutto perche io amo lo shuffle, che il tempo che io forse mi piace di più di più; magari può sembrare una banalità, ma io quando suono lo shuffle sorrido; mi diverte. E' un tempo che mi rilassa tantissimo. Mi rilassa e ha tantissime forme. E per questo motivo direi proprio "Pride and Joy" di Stevie Ray Vaughan.

Com'è la condizione del batterista all'interno della band, nonostante l'apparente scarsa visibilità scenica rispetto agli altri componenti del gruppo?

Ti dirò, secondo me il batterista ha un ruolo fondamentale all'interno del gruppo, in quanto è responsabile di creare una base solida per permettere all'elemento che deve avere espressione di esprimersi al meglio. Mi spiego. Io lavoro molto in trio, e ho sempre un chitarrista davanti. Secondo me il lavoro di un buon batterista in quel caso, come anche quello di un buon bassista, consiste nel creare una base solida per fare in modo che il chitarrista possa esprimersi al meglio. Io sono il foglio di carta e il chitarrista è la penna. Se il foglio è bello liscio, bianco e lucido, la penna scrive senza problemi, e il risultato anche visivamente parlando sarà un buon risultato. Invece se il foglio su cui si deve scrivere è tutto stropicciato, la penna non solo fa fatica a scrivere, ma il manufatto risulta meno presentabile. Non è un discorso di stare defilato. Il batterista all'interno della band deve avere la capacità di prestare attenzione a quello che succede sul palco, e deve avere anche l'abilità, magari di fare qualcosa in meno pur di far rendere al meglio gli altri. Anche a questo ci sono arrivato un po' tardi, e se ci sono arrivato lo devo principalmente ad un'altra persona che è stata fondamentale nella mia crescita artistica, e che ci tenevo particolarmente a ringraziare: il mio insegnante Federico Monti. Una persona da cui sono andato diversi anni fa e a cui tuttora mi rivolgo quando ho qualche dubbio. Non c'è bisogno di fare una lezione; mi basta una telefonata, mi basta andarci a parlare, ascoltiamo insieme dei dischi, e questo è sufficiente per chiarirmi le idee. E' un'altra persona che insieme alla mia famiglia, è stata fondamentale per la mia crescita. Insieme a mio padre, è stata una delle persone di spicco che ha saputo trasmettermi qualcosa sulla batteria.

Sappiamo, anche dal racconto di altri musicisti con cui abbiamo parlato prima di te, che il panorama delle musica live sta vivendo un momento di crisi, in parte dovuto anche alla cattiva gestione dei locali. Qual'è la tua opinione circa questa situazione?

Sai, secondo me è un problema un po' più ampio. Accendi la televisione di sera e "subisci" quello che ti trasmettono. Per quanto riguarda la radio il discorso non si discosta di molto. Se una persona vuole avvicinarsi ad un certo tipo di musica o è veramente interessato, ed è diverso dagli altri e se la va a cercare, oppure subisce passivamente tutto quello che gli viene messo in testa da certa televisione, certa radio o certi giornali, e non si pone nemmeno il problema di sapere se c'è qualcos’altro oltre a quello. Purtroppo viviamo in una società dove conta di più l'immagine che la sostanza, e il gestore del locale è anche costretto a basarsi su questo. Così se si vuole cercare di rimanere a galla è, per così dire, costretto ad invitare il gruppo che fa tendenza o che faccia un certo tipo di musica che attiri il maggior numero possibile di persone. E' inevitabile questo. Se invece i grandi mezzi di comunicazione dessero in qualche modo spazio anche ad altri tipi di musica, la gente, ed in particolare i più giovani, saprebbero che perlomeno ci sono delle alternative tra cui scegliere, e secondo me il discorso cambierebbe tutto di conseguenza. Io lo vedo anche negli allievi che vengono da me a fare lezione, e mi dicono di voler suonare un determinato pezzo che hanno sentito per radio. Poi magari gli fai scoprire che quel pezzo era già stato suonato vent'anni prima da un'altra band, e allora perlomeno gli inculchi la curiosità e la consapevolezza che esiste anche dell'altro, e può essere che pian piano arrivi a farsi una sua idea personale e inizi a cercare una sua strada che magari è diversa da quella della massa.

Com'è l'approccio del pubblico italiano con la musica blues? All'estero la situazione è diversa?


Devo premettere che io all'estero ho sempre avuto delle bellissime esperienze, sia in Irlanda coi Bonus Track, che al Desmo Challenge con i Texas Trouble che a Vallemaggia, a Losanna o in tutte le altre date che ho fatto con Valeriano. Effettivamente devo ammettere che il pubblico all'estero è molto più caloroso, è molto più interessato e soprattutto è un pubblico che adora la musica, probabilmente proprio per un fatto culturale; forse perchè non c'è solo la televisione, forse perchè c'è una crescita musicale diversa. Io in Irlanda sono stato ospitato a casa di persone che non conoscevo e che semplicemente avevano apprezzato il mio modo di suonare, oppure venivo fermato sotto il palco da gente che mi faceva dei complimenti riguardo a delle cose che solo un orecchio veramente attento ed esperto sarebbe stato in grado di cogliere. Di conseguenza secondo me il pubblico che ti ascolta va a pari passo con quella che è la cultura del paese che ti ospita. In Italia forse, e qui ci ricolleghiamo al discorso che facevamo prima, manca un po' questo tipo di cultura musicale. Naturalmente non è un discorso che vale per tutti, anche nei festival blues che vengono organizzati qui in Italia arriva gente che comunque apprezza il tipo di musica ed è preparata, ma in generale non è sempre così. Qui magari vai in un locale, finisce l'esibizione e la gente se na va, molto freddamente. All'estero come ti dicevo la gente ti acclama, aspetta che scendi dal palco per parlarti, ti viene a cercare, ti ospita a casa. Addirittura il giorno dopo mentre cammini per strada le persone ti fermano perchè ti hanno riconosciuto! Ed effettivamente tutto questo è molto più gratificante, vuol dire che quello che volevi trasmettere è arrivato.

Per concludere, quale consiglio daresti ad un giovane che sogna di avviarsi alla carriera musicale in generale, e in particolare a chi aspira a diventare un batterista?

Vuoi sapere che consiglio darei ad un ragazzo che sogna di fare il batterista? Prima di tutto gli direi di non essere un batterista. Gli consiglierei di suonare la batteria non con la testa di un batterista, ma con la testa di un musicista. Perchè è giustissimo imparare la tecnica, io stesso passo tre ore al giorno a studiare, però quando vado a suonare non è la cosa più importante. La tecnica mi serve per saper ascoltare e per riuscire a cavarmela in certe situazioni. La cosa fondamentale invece è imparare a ragionare come un musicista. Quando sei su un palco e devi fare uno spettacolo, per un batterista l'importante non è mettersi in mostra, ma, come ti dicevo prima, è saper preparare il terreno per le persone che suonano con te. E per saper fare questo è fondamentale saper ascoltare gli altri. Poi nel corso di una serata il tuo momento arriva, e anche se non arriva arriva lo stesso, perchè dal momento che riesci a sostenere un gruppo, il tuo lavoro l'hai fatto bene lo stesso, e sei comunque un buon batterista. Facendo un discorso più in generale i consigli che posso dare a chi si avvia ad una carriera musicale sono prima di tutto di non sentirsi mai arrivati e poi di provare un po' di tutto. Io ho suonato liscio, sono andato anche a fare delle cose in playback; provi e se non ti piace non ci vai più. Ma se non provi una cosa non puoi dire a priori cosa ti piace e cosa non ti piace. Anche perchè facendo più cose comunque riesci anche a completare al meglio la tua preparazione. Mi spiego. Se suoni blues ti prepari all'esibizione in un certo modo, se poi un'altra sera cambi e vai fare delle cover o del jazz magari ti rendi conto di essere un po' più carente in altri aspetti, ti prepari, ti eserciti e sicuramente questo è un qualcosa che va a tuo favore. Sono tutte cose che comunque ti aiutano a crescere. Nella vita c'è sempre qualcosa da imparare. Andate e suonate! E' tutta esperienza.

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Roberto Rimoldi

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