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Lex 180

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Quattro chiacchere con la rock band di Senigallia. Abbiamo parlato di "Mad in Italy", il loro nuovo album, uscito da qualche mese, ma anche della scena indipendente italiana e dei loro progetti futuri. Un'intervista da non perdere...

I Lex 180 sono un gruppo pop punk dell'anconetano, la zona di Senigallia in particolare è la loro terra natia. Gruppi come Green Day e Ramones su tutti, ma anche Screeching Weasel, Queers e Operation Ivy non sono sicuramente mancati nel loro lettore mp3 e sono tra i loro maestri dichiarati.
Nel 2011 arriva il loro primo album "Viva la Fuga", un disco fresco e divertente che convince i più. Per tutto il 2011 i Lex continuano a comporre e a suonare tantissimo. Lo stesso anno si aggiudicano anche la vittoria di "Scorribande", contest dedicato a band emergenti, grazie alla quale volano a Londra per un live nella capitale britannica.
A luglio di quest'anno esce "Mad in Italy", il loro secondo album. Un disco in cui il loro marchio di fabbrica rimane riconoscibilissimo, ma che allo stesso tempo è abbastanza diverso dal precedente: è più maturo sia per quanto riguarda il sound che per quanto riguarda le tematiche affrontate. Un bel passo avanti.
Detto questo non mi resta che lasciarvi all'intervista che abbiamo realizzato coi Lex nella quale ci raccontano meglio di questo loro ultimo album e non solo. Rimanete incollati al pc!

 

Ciao ragazzi. Grazie mille per aver trovato un po' di tempo da dedicarci. Per cominciare raccontateci un po' dei Lex 180. Quando, come e dove è cominciato tutto e le tappe più importanti di quello che è venuto dopo.

E’ cominciato tutto per gioco e in maniera molto blanda e confusionaria poi andando avanti abbiamo cominciato a suonare più seriamente componendo pezzi nostri , indubbiamente suonare fuori e rapportarci con altri gruppi sono state cose che ci hanno formato.

Quali sono i gruppi che vi accomunano e che vi hanno fatto crescere come musicisti e come persone? Avete fatto una cover di "Beat on the Brat" dei Ramones. Quindi penso che si parta da lì per arrivare fino a dove?

Diciamo che i Ramones insieme ai Green Day sono le due fondamenta dalle quali partiamo e dai quali siamo maggiormente influenzati, poi ci piacciono tanti altri gruppi anche non necessariamente punk. crediamo sia limitante ascoltare un solo genere, ma fare punk è quello che ci piace, e siamo orgogliosi di essere una band che suona punk rock!

Dovete il vostro nome alla legge Basaglia che sanciva la chiusura dei manicomi. Che percentuale di follia c'è nella vostra musica, e quanto c'è invece di razionalità?

Possiamo dire che siamo mossi da una lucida follia ogni volta che imbracciamo gli strumenti e andiamo a suonare.. poi la birra fa il resto.

Senigallia invece, che è il posto dove vivete e dove siete cresciuti musicalmente, quanto ha influito sulla vostra musica e sulla vostra scelta di diventare musicisti? Suonare per voi è stata anche una sorta di valvola di sfogo, un modo per evadere da una realtà che vi andava stretta?

Suonare per noi è un modo di vivere, di pensare, di comportarsi… i nostri pezzi parlano di vita vissuta e indubbiamente quindi costituiscono anche una sorta di valvola di sfogo in relazione a ciò che ci circonda.

Parlando di live invece, com'è la situazione da quelle parti? Immagino già la risposta, ma ci sono abbastanza spazi e occasioni per proporre la propria musica?

Fortunatamente riusciamo ancora a trovare date e a suonare mediamente una volta al mese, che siano palchi grandi o piccoli pub non ci interessa! Suonare punk rock significa questo per noi, non siamo ossessionati dal “successo” o dal suonare in posti “cool” (ovviamente ci fa piacere se ci capita in club o palchi “blasonati”) ma per noi la gratificazione maggiore è suonare sempre e conoscere nuova gente che apprezzi quello che facciamo.

So che l'anno scorso avete vinto il contest "Scorribande" che vi ha permesso di suonare a Londra. Raccontateci com'è andata e quali differenze avete rilevato tra la scena live londinese e la scena live italiana in generale. Immagino che sia come il giorno e la notte...

In realtà il posto in cui abbiamo suonato era un piccolo pub quindi “la scena” non l’abbiamo potuta vivere appieno. Siamo stati a Londra due giorni soli.

Secondo voi la situazione italiana dipende solo da una questione di scelte discutibili da parte dei gestori dei locali o è anche un problema anche di mentalità del pubblico che è meno abituato ad andare a cercarsi e ad ascoltare cose diverse?

Purtroppo e’ un discorso di moda e di soldi. Non abitando in una grande città, è fisiologico che ci siano meno persone interessate a seguire una scena musicale “di nicchia”. Questo rapporto migliora nelle grandi città semplicemente perché l’aggregazione sociale è numericamente superiore. Anche per questi motivi non vogliamo limitarci a presidiare il nostro territorio, ma cerchiamo di suonare quando possibile e il più possibile, fuori regione.

Buttiamoci a bomba nella vostra musica. Da qualche mese è uscito "Mad in Italy", il vostro secondo disco. Raccontatecelo. Diteci quello che volete a ruota libera.

E’ un disco vero. Ogni pezzo parla di un’esperienza realmente vissuta. Si tratta di un autoproduzione totalmente svincolata da logiche commerciali, che rappresenta la sensibilità, l’esperienza e le competenze maturate fino ad oggi.

Rispetto a "Viva la Fuga", che era uscito un annetto prima, musicalmente parlando ho trovato una continuità di fondo, però ci sono tante piccole differenze che evidenziano una vostra crescita come musicisti. Voi come vi trovate cambiati rispetto a un anno fa?

Il sound del primo disco ci legava ad una dimensione più adolescenziale, dettata dall’impulso, dal puro istinto, c’era meno consapevolezza. Con Federico (il nuovo batterista) abbiamo sviluppato una nuova maturità musicale e un unione tra i componenti che prima non avevamo. Ora possiamo considerarci fratelli, e crediamo che questo sia uno dei traguardi più importanti che un gruppo possa raggiungere, nonché base fondamentale per durare nel tempo.
 
E poi ho notato una certa differenza anche nelle tematiche affrontate. "Viva la Fuga" parlava di temi piuttosto concreti, c'erano racconti di storie e di amori, ma anche (l'ancora attualissima) crisi della politica in "Papi e Veline", mentre "Mad in Italy" mi sembra che affronti temi di critica sociale e riflessioni più personali e introspettive. Concordate?
 
Si “Mad in Italy” è  indubbiamente più introspettivo. Ma non per questo meno concreto rispetto al primo. Nel nostro ultimo disco i temi sociali vengono sviluppati in un angolo stretto verso la vita di tutti i giorni nella nostra città, ma proprio per questo l’analisi è più precisa, e ciò rappresenta un evoluzione rispetto al disco d’esordio (cosa che abbiamo riscontrato non solo nelle recensioni, ma anche dai “rumors” di chi ha acquistato il disco dopo i live).

Raccontateci  la genesi del disco. Come prendono forma i pezzi?

Qualcuno di noi arriva in sala prove con lo scheletro di un pezzo e da lì si costruisce insieme. Di solito musica e testo vanno di pari passo e si sviluppano contemporaneamente, se ciò non avviene crediamo, in maniera strettamente personale, che il pezzo sia in un certo senso “farlocco”,  non ci è mai piaciuto forzare ritornelli o chiusure, è un po’ come costringere una donna a pagarti la cena al primo appuntamento…

E il lavoro in studio invece come si svolge? Cambiano molto i pezzi tra la prima stesura e il risultato finale o quando arrivate in studio avete le idee già piuttosto chiare?

Cerchiamo di arrivare in studio sempre con idee chiarissime, comunque lasciamo la porta aperta a qualcosa che in corso d’opera reputiamo possa migliorare il disco.

L'autoproduzione è una scelta di libertà artistica o è solo una condizione forzata? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell'essere indipendenti?

Non ci siamo mai posti il problema… Abbiamo la fortuna di poter registrare in maniera del tutto autonoma. Anche la promozione, la grafica, la distribuzione sono gestite sapientemente sempre “in casa” con il vantaggio di avere una “commando family” che comprende anche chi non suona ma è parte del gruppo, e ci permette di portare sul palco la nostra musica.

Cosa ne pensate della scena underground italiana? Ultimamente ho notato parecchio fermento. Pensate che sia solo un effetto della diffusione dei social network che ha moltiplicato all'ennesima le possibilità di crearsi una vetrina, fatto di per sè positivissimo, ma c'è il rischio di avere tanto fumo e poco arrosto, oppure è effettivamente un buon momento per la musica indipendente?

I social network hanno messo l’immagine davanti alla musica. Per vedere se una band sia effettivamente un gruppo e non solo un immagine, bisogna controllare l’impegno che mettono nel loro progetto; indipendentemente dal genere che fai e dalla grandezza dei posti dove suoni, se ti sbatti per suonare spesso, se carichi e scarichi prima e dopo i live senza curarti del numero di persone che c’erano o dei CD che hai venduto, meriti rispetto. Chi si rifiuta di suonare con la paura di “consumarsi” in attesa di chissà quale occasione, non rappresenta il nostro modello e nostro stile di fare musica e portarla al pubblico.

Chiudo le chiaccherata chiedendovi quali progetti avete in cantiere, a breve e lungo termine.

Abbiamo già 10 nuovi pezzi che attualmente suoniamo anche nei  live, questa volta tutti in inglese, che faranno parte del prossimo album in uscità nel 2013. Come abbiamo dichiarato più volte, finchè ne avremo la possibilità e l’ispirazione, puntiamo a produrre il più possibile.

Grazie mille per la disponibilità e in bocca al lupo per tutto!

Grazie a voi!!

[B!]

 

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