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Dopo un lungo periodo di assenza dalle scene i Gpl, band di punta della scena HC melodica italiana, sono tornati alla grande. Una bella intervista in cui ci parlano di "Phoenix", la loro ultima fatica e non solo

I Gpl si possono considerare dei veterani della scena HC melodica italiana. Nata nel 1999 a Vigevano, per volere di 4 amici con la voglia di fare buona musica, la band si impone nel giro di poco tempo sulla scena underground, e in breve tempo arrivano a condividere il palco con mostri sacri della scena punk italiana come Pornoriviste, Skruigners e Impossibili. Nel 2003 arriva anche il loro primo cd, un demo autoprodotto intitolato "Hope Inside, Ruins Everywhere".
Tutto sembra andare per il meglio, quando nel 2005 i Gpl decidono di prendersi un periodo di pausa dalle scene, un'assenza durata ben cinque anni. Ma la passione per la musica è più forte di tutto e nel 2010 il gruppo realizza che è il momento giusto per tornare a suonare insieme. Con un ritrovato entusuiasmo e con una line up leggermente rimaneggiata (l'innesto un nuovo chitarrista ed il passaggio del precedente chitarrista ritmico alla batteria) i Gpl si rimettono al lavoro: tante prove, tanti concerti e soprattutto la scrittura di nuovi pezzi, tutto materiale che confluisce in "Gpl Ep", un lavoro interamente autoprodotto, stampato in 300 copie venduto ai concerti e distribuito gratuimente sul web.
Da qualche settimana invece è disponibile "Phoenix", il nuovo ep della band, un disco molto importante per il gruppo. Nell'interessante chiaccherata che segue i Gpl ci parleranno di questo loro ultimo progetto e non solo. Non scollatevi dal pc!

 

Ciao ragazzi e grazie di dedicarci qualche minuto. Allora, partiamo subito da "Phoenix", il vostro ultimo ep uscito da qualche settimana. Personalmente mi sembra un lavoro molto ben riuscito. Suona veramente molto bene, ha una grande energia e prende fin dal primo ascolto. Raccontateci qualcosa su questa vostra ultima fatica.

Ciao Andergraund e grazie per i complimenti!
“Phoenix” è il progetto in cui ad oggi abbiamo investito di più in termini di energia creativa e tempo passato in studio e in sala prove. Volevamo creare qualcosa di solido, di vario, di melodico e che avesse spinta e passione, un disco che avremmo voluto sentire con piacere per tanto tempo, senza stufarcene. Ci siamo presi tutti il tempo che ci serviva per raggiungere questo scopo, ore su ore. Come GPL ci siamo sempre preoccupati di fare qualcosa che ci piacesse davvero indipendentemente dai riscontri. Qualcosa in cui credere esiste ancora e questo gruppo e questa musica sono alcune di quelle cose. Punto.

"Phoenix" arriva a un annetto e mezzo di distanza di distanza da "GPL ep", un disco molto importante per voi, perchè ha segnato il vostro ritorno sulle scene dopo un lungo stop, durato cinque anni. Come si è evoluto il sound della band in questi mesi? Cosa c'è di nuovo e cosa invece rimane immutato?

Il precedente ep è stato interamente registrato e mixato da noi e rappresenta bene ciò che i GPL sono ancora oggi, che erano e saranno. In copertina un leone divorava il sole come l’istinto divora a volte la coscienza e volevamo tornare ad aggredire dopo una lunga pausa.
Era la prima volta che dopo gli anni di stop registravamo nuove cose e non avevamo idea di cosa avremmo raggiunto lavorando in totale autonomia al disco…tante ore di un’estate, ben spesa!
Contiamo di uscire di frequente con musica nuova e di qualità anche in forma di ep perché è un buon modo di tenerci attivi, come fare jogging tutti i giorni!
Rispetto al passato ep abbiamo dato il benvenuto ad un nuovo chitarrista che si è aggregato alla famiglia dei GPL e ci siamo così stabilizzati. Non so dire cosa sia successo ma in un anno e mezzo siamo diventati molto più adulti e uniti…crescere è una delle cose che non bisogna evitare di fare no?! “Phoenix” racconta proprio questo momento di passaggio come band e come uomini, tocca a tutti prima o poi.

E' rispetto agli inizi invece? Il gruppo è nato ormai ben 13 anni fa, come detto nel frattempo c'è stato un periodo di pausa e qualche modifica della line up. Se vi guardate indietro, in cosa vi trovate diversi e quali sono invece gli elementi di continuità in quello che fate?

Abbiamo una VHS registrata in sala prove, era il 1999. Non sapevamo cosa facevamo ma lo facevamo. Non ci domandavamo quanto questa band sarebbe durata o cosa avremmo mai raggiunto. Il sentimento che provoca rivedere quelle immagini è tenerezza perché se c’è una cosa che lega il nostro essere entrati nei trent’anni alla nostra adolescenza sono i GPL. E’ come dire: “ehi, ma quello ero io!” e provare un misto di nostalgia per una fase della vita e di desiderio di portare avanti la propria musica e la propria esistenza. Vivere e fare musica, questa musica, sono aspetti inscindibili. La musica è sempre stata la nostra lente attraverso cui vedere la vita.

Qualche gruppo o qualche musicista che vi accomuna tutti o che per voi rappresenta un punto di riferimento importante? Sono cambiate le cose nel corso degli anni, si sono ampliati gli orizzonti, o i riferimenti sono rimasti più o meno gli stessi?

Il pensiero va in questo momento a Tony Sly dei No Use For a Name che ha abbandonato da poco questa vita, un uomo sensibile che ci ha lasciato dischi indimenticabili. Citarlo qui è un modo di riconoscergli ciò che ha significato per noi la sua musica, i suoi dischi li abbiamo consumati tutti…
Noi GPL abbiamo tutti gusti musicali simili anche perché siamo cresciuti insieme passandoci i dischi di Propagandhi, Nofx, Good Riddance, Bad Religion, No use for a Name, Pennywise, Lagwagon, Rise Against e così via. Tutti gruppi che li senti e vieni invaso da una energia particolare e viva, qualcosa di impareggiabile e di diverso dal solito. Nessuno di noi suonerebbe se non in un gruppo di Hardcore più o meno melodico.
Se questi gruppi sono la matrice però riconosciamo altre influenze: nel nostro passato c’è lo studio del violino, del pianoforte e della chitarra classica. Ascoltiamo Guccini, Leonard Cohen, Queen, Nirana, 883, Neil Young, Johnny Cash e molti altri…dopotutto un pezzo punk-rock per essere bello deve anche rendere bene se suonato con una chitarra acustica! Occorre buon gusto soprattutto in un genere sparato a cannone come il nostro.

Raccontateci un po' la genesi del disco. Come prendono forma i pezzi?

Le nostre canzoni nascono in forma di giro melodico che uno di noi propone agli altri e su cui si inizia ad improvvisare ritmi e melodie di voce e chitarre. Inizialmente non importa sia qualcosa di raffinato, basta una base. Su questa base poi iniziamo ad addentrarci nella seconda fase creativa in cui ognuno dei GPL raffina la sua parte. In generale quando sentiamo qualcosa che si smuove dentro, tipo farfalle nello stomaco, e ci diciamo “mmh figata!” significa che siamo sulla buona strada. I nostri pezzi non smettono di essere migliorati o abbelliti fino a che il disco non è stato mandato alle stampe.
Così è stato per “Phoenix”. Con questo stile di lavoro riusciamo a mettere insieme immediatezza e un pizzico di ricerca musicale a tenere viva la fiamma.

Personalmente mi hanno colpito molto i testi. Li trovo molto belli, alcuni sono anche piuttosto personali. Insomma, la qualità è molto alta. Non mi capita spesso di ascoltare album punk rock e HC con delle liriche così ricercate. Cosa mi potete raccontare sui testi?

I testi sono colpa del batterista e della professione che svolge! :D Sono liriche spesso allusive e che utilizzano immagini per descrivere situazioni concrete e gli aspetti di introspezione che questi scatenano.
Alcuni, come in “The Age of Green Pastures”, sono trascrizioni di sogni. I testi delle canzoni arrivano quasi in maniera autonoma come fantasie e da lì vengono convertite in linguaggio.
In generale pensiamo in un testo sia più originale alludere alle cose per lasciarne intuire il significato nascosto. Ognuno ci vedrà ciò che gli sarà più consono. Quando una cosa è troppo spiattellata in faccia per come è diventa subito noiosa e già sentità ed il gioco dei significati non dovrebbe invece finire mai.
In questo genere musicale molti tendono a parlare come se i problemi fossero tutti la fuori, nella società, scaricando così ogni responsabilità da loro stessi. Noi invece partiamo da noi e da lì ci muoviamo a guardare ciò che sta fuori. Ci chiediamo spesso chi siamo, come persone, come amici e come band.
La fenice scoperta sotto il letto in copertina rappresenta tutto il nostro desiderio di rinascere come persone adulte che amano fare musica, se si resta giovani troppo a lungo ci si limita e basta! Dopotutto come diceva un nostro testo: “Youth is a fever” (Trad. La giovinezza è una febbre) e forse per fortuna dopo un po’ passa!

E il lavoro in studio invece come si svolge? Cambiano molto i pezzi tra la prima stesura e il risultato finale o quando arrivate in studio avete le idee già piuttosto chiare?

In studio succede di tutto!!! Abbiamo la fortuna di possedere uno studio di registrazione personale e questo ci permette di fare prove prima di incidere. Il pezzo viene inciso quando ha già una sua forma ritmica e melodica precisa…ogni volta però qualcosa viene cambiato e migliorato in registrazione e spesso i cambiamenti sono anche drastici. Usiamo lo studio di registrazione in maniera creativa tanto quanto la sala alle prove del giovedì sera e della domenica!

La scena underground italiana come la trovate cambiata negli ultimi anni? Nei cinque anni in cui siete stati fermi sono cambiate parecchie cose. Su tutte il boom dei social network è stata sicuramente la rivoluzione più grande. Secondo molti si tratta di un'arma a doppio taglio. Innegabilmente per le band i social network sono uno strumento utilissimo, ma a fare una pagina su facebook ci vogliono 5 minuti e non sempre dietro si celano progetti di qualità. Cosa ne pensate?

Sono cambiate molte cose è vero, prima era diverso, forse più a misura di cuore. Oggi è tutto più liquido. Comunque la tecnologia è uno strumento e la sfruttiamo, non serve a niente fare finta che il mondo non stia cambiando, continuerà a farlo. O ci si adatta almeno un po’ o si sparisce. Ogni arma è buona se usata correttamente e viceversa.
La situazione oggi è piuttosto surreale: capita spesso di condividere il palco con band con una marea di “amici” su facebook che poi alla prova dei fatti non hanno mai nessuno ai concerti che li segue.
Può starci…quanti si sbattono per andare a scoprire nuovi gruppi?
Ciò che non ci sta è che queste band si atteggino da rockstar di fama prima di suonare quando poi di pubblico sotto il palco non ce n’è mai. E’ una posa, una farsa grottesca. La musica qui già non c’è più e ci sono solo persone che cercano una identità attraverso un “mi piace” di approvazione da parte della rete, come bambini abbandonati.
Questo è ciò che ci fa domandare a chi servono davvero questi “amici”, dove portano davvero le belle foto e i dischi tutti uguali? La risposta a questa domanda non è delle più piacevoli. Tendiamo nel nostro piccolo a conoscere i trend come parte del mondo ma a seguirli solo se ci comunicano qualcosa.

So che il live rappresenta un aspetto molto importante per voi. Tante serate alle spalle, tanti gruppi importanti con i quali avete condiviso la scena. Tra i vari gruppi che hanno suonato con voi ce n'è qualcuno che ricordate con maggior piacere, un incontro che vi ha segnato, o un ricordo particolare che volete raccontarci?

Si, tanti chilometri insieme in una macchina stipata di strumentazione…una bella sensazione.
Nel 2000 condividemmo il palco con le Pornoriviste (bei personaggi oltre che compositori molto originali e di personalità), avevamo diciotto anni e vedemmo venire verso il palco seicento ragazzi. L’impatto fu forte. Qualcuno per la prima volta si aspettava qualcosa da noi e dovevamo dare il massimo. Era una situazione più grande di noi e dovevamo mostrare chi eravamo.
Nessuno sapeva che dodici anni dopo saremmo stati ancora in cerca di date, pronti a suonare davanti a qualcuno, anche una sola persona che qualcosa da noi si aspetta. Ricordiamo perfettamente Tommi delle Pornoriviste che prende dello scotch di carta e lo appiccica sulla sua testata a formare il simbolo di “Anarchia”, abbiamo la scaletta di quella sera scritta su di un cartone di una pizza. E’ tutto in quei ricordi, quando non sapevamo sarebbero diventati ricordi.

Qual è lo stato di salute della musica live in Italia? Molti artisti con cui abbiamo parlato finora non ci hanno dipinto un quadro roseo della situazione. Ci sono spazi adeguati e sufficienti per suonare e farsi conoscere?

Gli spazi ci sono se ci si impegna a cercare date, di gruppi di qualità ce n’è, grandi e piccoli e di ogni genere. Il problema non è tanto questo. Il problema è riuscire ad emergere ed ottenere sincera attenzione e curiosità.
E’ difficile da dire ma il problema sta forse nell’atteggiamento generale nei confronti della musica, come viene intesa e fruita oggi. La facilità nel raggiungere informazioni sulle band ha per molti reso superfluo andare ai concerti. Quando non c’era youtube e uno voleva vedere che faccia avevano i NOFX o una piccola band qualsiasi doveva andare di persona ed era emozionante, non c’era una seconda possibilità, era quello il momento. Non c’era immagine preconcetta.
L’aumentare delle informazioni disponibili su qualcosa rende quella cosa meno interessante. I grandi gruppi hanno il loro pubblico ma per gli altri paradossalmente avere maggiori visualizzazioni virtuali significa avere minore visibilità sul palco, quello vero, fatto di sudore e passione.

Quali progetti avete a breve e lungo termine?

Stiamo già scrivendo canzoni nuove che dovrebbero portarci ancora un po’ più in la nel nostro percorso. Come sempre non ci risparmieremo sulla velocità dei pezzi e tantomeno sulla passione e l’attenzione che dedicheremo al progetto. Contiamo di farlo uscire nel 2013. Nel frattempo siamo occupati nella promozione di “Phoenix” per dare la maggiore visibilità possibile ad un disco in cui fortemente crediamo. Dategli una possibilità!

Grazie mille per il tempo che ci avete dedicato e un enorme in bocca al lupo per tutto!

Grazie a voi Andergraund!
“Youth is a fever”!

 

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