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Il cinema indipendente americano tra i ‘60 e i ‘70 al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 23 febbraio al 28 marzo 2012

Gli anni ’60 e i primi ‘70 in America rappresentano una stagione straordinaria e dirompente per il rinnovamento del linguaggio cinematografico, grazie al coraggio di autori geniali - indipendenti, underground e ribelli “maledetti” – che realizzarono i loro capolavori in opposizione alla cultura ufficiale e allo strapotere delle grandi produzioni hollywoodiane, affermando una visione aspra e brutale della complessità contemporanea. Figli di un’epoca di grandi fermenti e contestazioni, questi registi straordinari si mossero in sintonia con i più importanti fenomeni dell’arte americana, alla ricerca di uno stile personale, libero da schemi narrativi invecchiati, privilegiando spesso la sceneggiatura in costruzione durante le riprese, per catturare la verità unica e irripetibile dell’emozione imprevista. Un cinema che affondava nel “sottosuolo” urbano, dando libero asilo alla fuga autodistruttiva dalla società civile, attraverso il sesso, la droga e la violenza. Questo percorso nell’America cinematografica di allora ci restituisce un ritratto sconvolgente dell’uomo moderno che, disorientato, indifferente e privo di certezze, sceglie la fuga senza meta per perdersi definitivamente.

cinemaamericano

23 e 24 febbraio, ore 21.00
Shadows
di John Cassavetes
(Ombre, 1959, 81’ - v.o. sott. it.)
L’esordio strepitoso del genio del cinema indipendente americano ci trascina in una New York fumosa, tra un’umanità bloccata e impotente, con un linguaggio assolutamente rivoluzionario che sostituisce l’improvvisazione degli attori alla classica sceneggiatura, per far esplodere la verità delle emozioni umane oltre le convenzioni sociali o narrative; in sottofondo il jazz del grande Mingus.

25 e 26 febbraio, ore 21.00
Guns of the Trees
di Jonas Mekas
(I fucili degli alberi, 1961, 85’ - v.o. sott. it.)
Il guru del New American Cinema, realizza le stesse energie creative con cui animò la New York indipendente dei primi anni ’60 in quest’opera di culto, aspra rappresentazione di una generazione inquieta attraverso un montaggio di scene libero da schemi e fluido come i colori di un quadro di Pollock.

28 e 29 febbraio, ore 21.00
The Connection
di Shirley Clarke
(Il contatto, 1962, 110’ - v.o. sott. it.)
Lo sguardo affonda nell’inferno contemporaneo in questo primo lungometraggio di una delle figure fondamentali del New American Cinema: tratto da una messa in scena del Living Theatre, è una pietra miliare del cinema moderno per l’ambientazione claustrofobica – l’attesa del pusher di un gruppo di tossici – e la capacità di adesione diretta all’esperienza umana.

1 e 2 marzo, ore 21.00
Flaming Creatures
di Jack Smith
(1963, 45’)
Vero e proprio cult dell’avanguardia underground anni ’60, fece scandalo per la sua provocazione radicale, tra trasgressione sessuale e libertà anarchica della visione. Un’allucinazione lisergica di corpi fluttuanti, impregnata di energia vitale, ambigua e disturbante.

Scorpio Rising
di Kenneth Anger
(1964, 28’)
Viaggio nelle ossessioni del genio iconoclasta della sperimentazione underground, che ha influenzato intere generazioni di artisti, da Mick Jagger a David Lynch, e creato il modello di tanto cinema queer a seguire, tra trasgressioni sessuali, occultismo, violenza ed estetica biker.

3 e 4 marzo, ore 21.00
Greetings
di Brian De Palma
(Ciao America!, 1968, 88’ - v. it.)
Il grande De Palma agli esordi guarda all’America del ’68 con occhio satirico e dissacrante verso le istituzioni, sperimentando uno stile libero e caotico, che aderisce perfettamente alle inquietudini di giovani allo sbando - con un De Niro già incredibile – ossessionati dal Vietnam, dalla politica, dal sesso e dal voyerismo.

7 e 8 marzo, ore 21.00
Medium Cool
di Haskell Wexler
(America, America, dove vai?, 1969, 111’ - v.o. sott. it.)
Sullo sfondo dei violenti disordini scoppiati tra i pacifisti che protestavano contro la guerra del Vietnam e la polizia nella Chicago del ’68, questo film sconvolse l’America per l’impatto delle sue immagini - con riprese delle barricate e degli scontri reali inserite nella fiction – e la dura critica al cinismo dell’informazione televisiva.

9 e 10 marzo, ore 21.00
Easy Rider
di Dennis Hopper
(1969, 95’ - v.o. sott. it.)
Capolavoro leggendario ed emozionante, esperienza on the road per eccellenza che intere generazioni hanno ripercorso per le strade del mondo in fuga dal conformismo; in realtà un’opera intrisa di pessimismo, viaggio di autodistruzione nel lato oscuro dell’America verso il tramonto del sogno di libertà.

11 e 13 marzo, ore 21.00
Five Easy Pieces
di Bob Rafelson
(Cinque pezzi facili, 1970, 98’ - v.o. sott. it.)
Tra le opere migliori dei primi anni ’70, divenne il punto di riferimento di una gioventù insofferente al modello di vita borghese, che si rispecchiò nelle inquietudini di Jack Nicholson, strepitoso nel ruolo del ribelle sradicato, in fuga da tutto e da tutti, inadatto ad ogni forma di esistenza adulta.

14 e 15 marzo, ore 21.00
Trash
di Paul Morrissey
(Trash - I rifiuti di New York, 1970, 110’ - v.o. sott. it.)
Figura centrale della Factory di Andy Warhol, si spinse dove il cinema non aveva mai osato prima, descrivendo con stile sporco e diretto lo squallore della marginalità metropolitana: un universo grottesco di tossicomani, travestiti, marchettari su cui brilla la bellezza statuaria e apatica di Joe Dallesandro.

16 e 17 marzo, ore 21.00
Two-Lane Blacktop
di Monte Hellman
(Strada a doppia corsia, 1971, 102’ - v.o. sott. it.)
Capolavoro che segna la fine di un’epoca, spingendo il mito on the road alle sue conseguenze definitive: corridori automobilistici senza identità non cercano più la libertà nella fuga, ma vagano senza una meta nel vuoto dell’esistenza, perché la strada americana non porta più da nessuna parte.

18 e 21 marzo, ore 21.00
The Last Picture Show
di Peter Bogdanovich
(L'ultimo spettacolo, 1971, 118’ - v.o. sott. it.)
Bogdanovich crea il suo capolavoro lirico con la storia di alcuni ragazzi che esorcizzano la monotonia e l’ipocrisia della vita di provincia in un piccolo cinema che sta per chiudere, prima dello scoppio della guerra di Corea: metafora malinconica di un’ingenuità ormai perduta e del crollo delle illusioni di una generazione.

22 e 23 marzo, ore 21.00
Images
di Robert Altman
(1972, 101’ - v.o. sott. it.)
Un Altman insolitamente cupo e disturbante, ma sempre grandissimo, alle prese con i labirinti oscuri della psiche umana, in questo studio sconvolgente della follia che, attraverso notevoli sperimentazioni formali, ci trascina in un universo distorto, dove sogno e realtà si confondono.

24 e 25 marzo, ore 21.00
Pat Garrett and Billy the Kid
di Sam Peckinpah
(Pat Garrett e Billy the Kid, 1973, 122’ - v.o. sott. it.)
Questo straordinario western punta uno sguardo struggente e spietato sul tramonto della frontiera, scrivendo il testamento di un genere e dei suoi valori ormai inattuabili. Una ballata del disfacimento di un mondo, melanconica e splendida come la colonna sonora di Bob Dylan.

27 e 28 marzo, ore 21.00
Badlands
di Terrence Malick
(La rabbia giovane, 1973, 94’ - v.o. sott. it.)
Il primo film di uno dei più importanti registi contemporanei si ispira alla vicenda reale di due brutali assassini e costruisce un affresco straordinario e spietato della crisi contemporanea, dove il sangue si scolora nell’indifferenza e la fuga senza meta diventa l’unica forma di esistenza possibile.

 

Informazioni:
Palazzo delle Esposizioni – Sala Cinema
scalinata di via Milano 9 A, Roma
tel. 06 39967500
www.palazzoesposizioni.it
biglietto: intero € 4,00 – ridotto possessori della membership card PdE € 3,00

 

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