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Kylie Minogue - Aphrodite

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Kylie Minogue - Aphrodite  “Dance”. Si apre così Aphrodite, undicesimo album di studio di Kylie Minogue, ed è allo stesso tempo imperativo categorico e manifesto programmatico. Perché Aphrodite è questo: dance pop all’ennesima potenza.
Arriva spesso nella carriera di un artista il momento di scegliere: puntare alla credibilità artistica battendo nuove strade, sperimentando, osando oppure dare al pubblico esattamente ciò che si aspetta scommettendo sul riscontro commerciale e su un’aumentata popolarità. Kylie ha scelto per una volta questa seconda via e ha confezionato un album che è una summa di ciò che lei è ed è stata, un disco che ripercorre enfatizzandoli tutti i punti più luminosi della sua carriera: il pop immediato degli inizi, la spensieratezza di “Light Years”, la dance elettronica di “Fever”, l’eleganza di “Body Language” il tutto miscelato in una cornice musicalmente coerente ed omogenea. Per fare ciò si è avvalsa di una schiera di collaboratori selezionati: in primis il produttore Stuart Price, poi Jake Shears degli Scissor Sisters, Nerina Pallot, Time Rice-Oxley dei Keane, Calvin Harris tanto per citarne qualcuno. E così ecco All the Lovers, primo singolo estratto, che ha in sé l’anima di tutto il progetto: una melodia che conquista ascolto dopo ascolto, ritmo che cresce ed esplode in un tripudio di sintetizzatori e cori sapientemente miscelati, una dance che non sceglie facili scorciatoie, ma fa dell’eleganza il suo punto di forza. I BPM aumentano con le tracce successive, Get Outta My Way e Put Your Hands Up (If You Feel Love) che pur ripercorrendo strade già battute -come non sentire echi di In Your Eyes o Love at First Sight?- si prestano ad essere le solide basi sulle quali costruire un monumento alla leggerezza, alla voglia di divertirsi, al puro intrattenimento. Impossibile stare fermi, le battute non danno tregua, ci si arrende al movimento e proprio quando la frivolezza sembra aver preso il sopravvento, un tappeto serrato di tastiere ci introduce in Closer, uno dei momenti più interessanti dell’album, un brano incalzante, scuro, sofferto come può essere una passione che non si realizza e si consuma. La ritmica cresce e cresce senza trovare un compimento e sembra arrendersi per aprirsi in Everything Is Beautiful, parentesi nella quale la dance si dilata per dare spazio ad una riflessione sul senso del desiderio. La musica si fa più morbida, a tratti nostalgica, il cantato più intimo. È lo spazio della consapevolezza, del battito del cuore che si intreccia ad un drappeggio delicato di pianoforte.
Ma questo vuole essere un album dance e così, come secondo il mito la dea dell’amore emerge dalla schiuma del mare, allo stesso modo dallo sfumare delle ultime note di Everyting is Beautiful ecco nascere Aphrodite, il brano che dà il titolo all’album. Potente, squadrato, senza mezzi termini, un grido di entusiasmo, un inno di amore alla vita… perfetta auto celebrazione, perché ogni tanto bisogna anche proclamare il proprio sentirsi bene con sé stessi. Ed è questo che fa Kylie cantando “sono fiera e mi sento forte, sono una ragazza d’oro, sono un’Afrodite”. E da qui in poi il percorso è in discesa, dichiarati tutti gli intenti, presi i giusti spazi per la consapevolezza, si ingrana la quarta sulla superstrada della dance e non ci sono più limiti di velocità. I motori si scaldano con Illusion, carosello di tastiere alla Vince Clarke prima maniera e voci che si inseguono, si legano e si sciolgono. Better Than Today preme sull’acceleratore del ritmo per quello che forse è il brano più squisitamente pop dell’album: semplice, fresco, ironico, con una linea melodica che si appiccica subito in testa e non va più via. Al contrario Too Much è sincopata, nervosa, elettrica, frammentata, quasi disorientante se non fosse per una ritmica contagiosa che non lascia scampo. Cupid Boy è una solenne, complessa struttura di pura dance: stanze sonore che si susseguono aprendosi l’una sull’altra come scatole cinesi, corridoi ritmici che si schiudono su cortili nei quali la voce si dilata nello spazio per poi rientrare in camere concentriche, in un labirinto sonoro nel quale l’unica certezza è che è impossibile stare fermi. Brusca interruzione con Looking For An Angel, mielosa canzoncina che si sviluppa intorno ad un ritornello lezioso e trasognato, in pericoloso bilico tra il divertente e l’imbarazzante. Si ritorna in pista per la chiusura dell’album: Can’t Beat The Feeling una gioisca celebrazione del ritmo, del divertimento puro, del non avere pensieri. Ed è perfetta sintesi di Aphrodite… un album fatto per divertire e vendere (non necessariamente in quest’ordine), un album che ha il suo punto di forza proprio nel suo punto debole: non offre, cioè, nulla di più di ciò che Kylie è stata negli ultimi dieci anni, ma lo fa con stile, con una leggerezza così perfettamente calibrata da sembrare spontanea. La formula comunque funziona, tanto che se da un lato Aphrodite ha deluso il fanbase più accanito, che si aspettava da Kylie qualcosa di più innovativo e sperimentale, dall’altro ha avuto un riscontro di pubblico eccezionale, al punto da esordire alla numero uno della classifica inglese, facendo di Kylie l’unica artista donna ad aver avuto una numero uno in classifica per 4 decenni consecutivi. Già, c’è un tempo per osare, per tentare nuove vie, per sperimentare. E c’è un tempo per godersi il successo… Ben venga Aphrodite, allora, ben venga per Kylie il tempo di un rinnovato successo.
[Sergio]
 

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